Volano fatturato ed export della filiera vini, spiriti e aceti

Vanessa Pompili
30/01/2024
Tempo di lettura: 3 minuti
Liquore

Quella dei vini, spiriti e aceti è una filiera strategica per il sistema economico italiano che conta oltre 2.300 imprese (38mila considerando anche quelle agricole di trasformazione), 21,5 miliardi di euro di fatturato diretto, 10 miliardi di euro di export.

Importanti anche i valori sotto il profilo occupazionale: a fronte di 81mila lavoratori direttamente occupati dalle imprese dei tre settori, grazie ad un effetto moltiplicatore pari a 5,8, se ne attivano oltre 460mila nell’intero sistema economico nazionale che corrispondono a quasi il 2% del numero complessivo di lavoratori in Italia.

È la fotografia scattata dallo Studio di filiera, per i settori vini, spiriti e aceti, realizzato da Nomisma per Federvini e presentato presso la Camera dei Deputati.

Questi settori generano sul territorio nazionale un valore aggiunto, inclusivo anche delle componenti indirette e indotte, pari a 20,5 miliardi di euro, corrispondenti a circa l’1,5% del Pil nazionale.

Di questi, 4,9 miliardi sono riconducibili all’effetto diretto (attribuibile alle imprese dei comparti attraverso la propria attività di produzione), 9 miliardi sono imputabili all’effetto indiretto (prodotto dai diversi fornitori attivati e dalla domanda generata a loro volta dai fornitori) e 6,6 miliardi all’effetto indotto, ovvero quello generato dall’incremento di reddito percepito da tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nel processo economico.

In termini di export, i comparti di vino, spiriti e aceti italiani ricoprono un rilievo importantissimo, non solo in merito all’incidenza sulle vendite oltre frontiera del food&beverage (19%) ma soprattutto per il contributo positivo alla bilancia commerciale agroalimentare: 8,4 miliardi di euro di saldo commerciale aggregato netto, l’apporto più alto tra i prodotti italiani del food&beverage.

Il nostro Paese è oggi il primo esportatore mondiale a valore di aceti, con una quota sull’export globale del 37%, nonché di vermut (34%), il secondo di vini fermi imbottigliati (22%) e liquori (14%). Nel complesso, negli ultimi dieci anni l’Italia ha conosciuto una crescita del valore sui mercati esteri di oltre il 76%.

Il successo raggiunto da questi settori è riconducibile alle strategie messe in atto dagli imprenditori, come gli investimenti sostenuti nell’ultimo triennio dal 90% delle imprese dei tre comparti considerati, oltre che per l’acquisto di beni strumentali, anche a sostegno della sostenibilità ambientale (packaging sostenibili, riduzione dei consumi di acqua, produzione dell’energia rinnovabile) e sociale (attività culturali, selezione dei fornitori locali, iniziative umanitarie), per la formazione del personale e per la ricerca e sviluppo di nuovi prodotti.

“Questo ruolo attivo verso la sostenibilità trova conferma nell’85% della popolazione italiana – ha sottolineato Denis Pantini, responsabile Agroalimentare e Wine Monitor di Nomisma – che ritiene come le imprese di vini, spiriti ed aceti contribuiscano positivamente allo sviluppo economico dei territori nei quali sono insediate oltre che al rafforzamento dell’immagine del made in Italy all’estero. Una reputazione che, per sette italiani su dieci, deriva anche dal contributo positivo dato dai vigneti nella tutela del paesaggio italiano, nel salvaguardare le aree rurali prevenendo l’erosione dei suoli e nel favorire il turismo”.

Vanessa Pompili