​Stellantis e la tendenza alla deindustrializzazione in Italia

Giampiero Castellotti
12/02/2024
Tempo di lettura: 4 minuti
Fiat

Carlos Tavares, ceo di Stellantis, uno dei principali costruttori automobilistici al mondo che controlla sedici marchi automobilistici, tra cui Alfa Romeo, Fiat, Lancia e Maserati, le francesi Citroen e Peugeot e la tedesca Opel, nei giorni scorsi all’agenzia Bloomberg ha dichiarato che l’Italia “dovrebbe fare di più per proteggere i suoi posti di lavoro nel settore automobilistico”, aggiungendo che “se non si danno sussidi per l’acquisto di veicoli elettrici, si mettono a rischio gli impianti in l’Italia”.

Queste parole hanno provocato dichiarazioni di ministri e interventi in parlamento, oltre ad accendere un ampio dibattito negli organi d’informazione.

E tanto per buttare benzina sul fuoco, l’azienda ha comunicato ai sindacati che dal 31 marzo alle carrozzerie di Mirafiori terminerà la produzione del suv Maserati Levante. Una notizia drammatica in quanto, come ricorda Luigi Paone, segretario generale della Uilm Torino, “delle circa 33 vetture Maserati prodotte al giorno alle carrozzerie di Mirafiori, 25 sono Levante”. Insomma, si porterà di fatto quasi a zero la produzione Maserati a Mirafiori. Da allora si susseguono scioperi spontanei dei lavoratori.

Pure a Pomigliano la situazione non è rosa, il ricorso alla cassa integrazione è abituale.

Romano Prodi, giovedì scorso sul Messaggero, ha ricostruito “la progressiva estinzione dell’industria automobilistica italiana” di fronte “alla durezza della concorrenza e all’ormai insufficienza degli investimenti”. Parlando di Stellantis, afferma che la strategia del suo Ceo è estremamente chiara: “ridurre drasticamente i costi moltiplicando gli investimenti e le capacità produttive verso i paesi a basso costo del lavoro, come Serbia e Marocco”. L’ex presidente del Consiglio aggiunge che “ogni funzione direttiva, dalla ricerca al marketing, dalla logistica alla finanza fino alla progettazione delle nuove auto elettriche è trasferita in Francia, così come è sempre più francese la composizione dei quadri direttivi di medio e alto livello”.

Prodi rincara la dose ricordando anche il progressivo calo dei modelli, dei telai e dei motori di origine italiana, l’offerta di cospicui incentivi aziendali a chiunque si dimetta qui in Italia, mentre il nostro Paese offre “impressionanti sussidi forniti dalla cassa integrazione”.

Indubbiamente l’auto elettrica, che da noi non sfonda, ha bisogno di incentivi per essere venduta in quanto molto più cara di quella termica. Tuttavia davvero conviene continuare a sostenere, come avvenuto per decenni, il settore dell’auto di fronte ad una realtà italiana di fatto governata dall’estero e sempre più disimpegnata, depotenziata ed emarginata?

La conferma viene anche da uno studio di Standard and Poor’s: dal 2019 al 2023 le auto prodotte in Italia da Stellantis sono diminuite dell’8%. Nel 2024, sempre secondo S&P, la diminuzione potrebbe essere del 12%, con ulteriore calo del 6% l’anno prossimo. La Francia, invece, va controcorrente e potrebbe presto eguagliare il numero di auto prodotte in Italia. Ma c’è un altro Paese che sta surclassando il nostro: è la Spagna, dove le tre fabbriche Stellantis hanno sfornato oltre un milione di veicoli. Ed ha ragione Prodi anche sul Marocco che, come la Turchia, produce 400 mila auto, circa 100 mila in più rispetto al 2020. Ma altri Paesi, dove il costo del lavoro è più basso, tolgono fette di mercato all’Italia: La nuova 600 si costruisce in Polonia e la Panda elettrica in Serbia.

Sull’ottimo Industria italiana diretto da Filippo Astone, il managing director di Alixpartners per l’Europa, Stefano Aversa, tra i più noti e autorevoli esperti di strategie in tema di automotive, evidenzia come l’Italia abbia “una forza lavoro qualificata e non eccessivamente cara, e un indotto che vede molte realtà eccellenti dal punto di vista tecnologico”, ma tuttavia è gravata “da costi fiscali e sociali, che rendono il Bel Paese meno competitivo di altre realtà comunitarie, Spagna in primis”. Aversa propone: “Per convincere un carmaker a portare da noi la produzione bisognerebbe lavorare sulle infrastrutture. Proporre zone dove sia possibile realizzare nuovi stabilimenti produttivi in tempi brevi. Oppure riconvertire gli impianti esistenti. Non è semplice. Ma si può fare”.

Un po’ di sano ottimismo in una congiuntura non certo facile.

Giampiero Castellotti