Salario minimo: la proposta del Cnel

Vanessa Pompili
09/10/2023
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Un lavoro articolato e complesso quello del Cnel sul salario minimo. L’incarico di elaborare un documento di osservazioni e proposte sul tema del salario minimo, in vista della prossima legge di bilancio (per motivi di stampa l’articolo viene redatto in tempi anticipati) è stato affidato al Consiglio nazionale economia e lavoro dal presidente del Consiglio dei ministri in data 11 agosto 2023.

Per pervenire alla formulazione di un documento finale ampio e inclusivo l’organo di rilievo costituzionale, ha deciso di adottare un preciso metodo di lavoro distinguendo nettamente la fase della analisi, da condividere nella Assemblea straordinaria del 4 ottobre, da quella della proposta che verrà rinviata alla Assemblea straordinaria del 12 ottobre.

Nelle sedute del 22 e 26 settembre e del 2, 3, 4, 6 e 7 ottobre 2023 la Commissione dell’Informazione del Cnel, composta da quattordici rappresentanti delle categorie produttive, esperti e terzo settore e presieduta dal consigliere delegato ed esperto nominato dal Presidente della Repubblica MicheleTiraboschi, ha svolto il relativo lavoro istruttorio.

In particolare nella seduta del 3 ottobre è stata approvata, con il solo voto contrario dei due rappresentanti della Cgil e l’astensione del rappresentante della Uil, la parte del documento relativa agli esiti della prima fase istruttoria tecnica sul lavoro povero e il salario minimo (inquadramento e analisi del problema) di cui l’Assemblea del Cnel ha preso positivamente atto nella seduta del 4 ottobre 2023.

In data 7 ottobre la Commissione ha poi proceduto all’approvazione – con il voto contrario dei due rappresentanti della Cgil e del rappresentante della Uil – della seconda parte del documento recante osservazioni conclusive e proposte.

Il documento complessivo risultante dal lavoro istruttorio della Commissione dell’Informazione sarà portato all’esame e all’approvazione finale dell’Assemblea del Cnel programmata per il 12 ottobre 2023.

Ai fini del lavoro istruttorio, accanto alle memorie depositate in Parlamento dalle forze sociali e da esperti di varia estrazione e specializzazione e alla letteratura nazionale e internazionale di riferimento, la Commissione dell’informazione si è potuta avvalere di documenti predisposti da Istat, Inps, ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e Banca d’Italia che sono poi stati ripresi e rielaborati da una puntuale e ricca nota informale messa a punto dall’Ufficio IV del Cnel.

La quantità di dati, informazioni, rilievi e riflessioni contenuta in tutti questi documenti impone una scelta di metodo relativa alla individuazione di chiavi di lettura e criteri attendibili per una loro analisi ordinata e condivisa da sottoporre all’attenzione della Assemblea del Cnel nei termini di una sintesi ragionata.

I componenti della Commissione dell’Informazione si trovano concordi nell’individuare, come metodo, quanto suggerito nella prima seduta del 22 settembre scorso dal presidente del Cnel, Renato Brunetta, e cioè di fare riferimento alla direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nella Unione europea, anche in ragione dei vincoli per l’Italia con riferimento alla sua trasposizione nel nostro ordinamento giuridico prevista entro il 15 novembre 2024. In altri termini sarà la direttiva europea a fornire alla Commissione – e, auspicabilmente, alla Assemblea del Cnel – i punti di riferimento prioritari per inquadrare gli esatti termini del problema e per consentire alla Assemblea di formulare conclusioni (sui dati) e proposte (per la sua soluzione).

La direttiva europea lascia ai singoli Stati membri l’alternativa tra la “scelta (…) di fissare salari minimi legali, di promuovere l’accesso alla tutela garantita dal salario minimo prevista nei contratti collettivi o entrambi” (art. 1, § 3). La vera questione allora, per il governo e il Parlamento, non è tanto o solo quella della tariffa – e dei parametri per la sua determinazione – ma chi sia l’attore che è meglio indicato per decidere, in termini di scelta e relativa responsabilità “politica”, la tariffa minima adeguata che la stessa giurisprudenza si candida ora a fissare secondo il criterio previsto dalla direttiva. Da questo punto di vista, una commissione di esperti potrebbe certamente esercitarsi con profitto su valutazioni tecniche applicando i parametri della direttiva che indica, come valori di riferimento per i salari minimi adeguati, parametri comunemente utilizzati a livello internazionale e cioè “il 60 per cento del salario lordo mediano e il 50 per cento del salario lordo medio” (art. 5, § 4).

Una commissione di esperti non si assumerebbe tuttavia la responsabilità “politica” della decisione, che è invece un elemento essenziale per il buon funzionamento di un mercato del lavoro. Il valore economico di scambio del lavoro non può infatti nascere unicamente da valutazioni economiche astrattamente corrette, ma anche in ragione del principio etico giuridico secondo cui “il lavoro non è una merce”.

Il Cnel suggerisce di evitare che, nella determinazione della tariffa retributiva, la questione dei salari minimi adeguati entri a pieno titolo nel vortice della comunicazione politica, in chiave di acquisizione del consenso, perdendo poco alla volta la sua attendibilità rispetto a parametri di sostenibilità economica e sociale.

Dal lavoro istruttorio e di analisi svolto in Commissione emerge in modo chiaro, alla luce dei dati e delle informazioni allo stato disponibili, come la mera introduzione di un salario minimo legale non risolverebbe né la grande questione del lavoro povero né la pratica del dumping contrattuale né darebbe maggior forza alla contrattazione collettiva. A parere della Commissione è dunque la contrattazione collettiva la sede ancora oggi da privilegiare e valorizzare per la fissazione dei trattamenti retributivi adeguati, che non devono limitarsi alla fissazione della tariffa minima ma anche, per precetto costituzionale, concorrere alla determinazione del salario giusto evitando così il rischio, soprattutto per le piccole e medie imprese, di un livellamento verso il basso e non verso l’alto delle retribuzioni.

Da valorizzare è dunque la via tradizionale che è quella della contrattazione collettiva e cioè il contributo di quelle forze sociali che rappresentano, assumendosene la responsabilità, gli interessi della domanda e della offerta di lavoro. La contrattazione collettiva, quale sede storica per eccellenza della dialettica tra istanze economiche e istanze sociali presenti sul mercato del lavoro, non è infatti un semplice equivalente di una contrattazione economica individuale ma piuttosto una vera e propria istituzione “politica” che concorre alla compensazione tra la domanda e l’offerta di lavoro.

La Commissione raccomanda altresì di garantire il regolare funzionamento della contrattazione collettiva non attraverso interventi legislativi, bensì, attraverso la valorizzazione di accordi interconfederali che, nel rispetto della libertà contrattuale, permettano di determinare a livello settoriale e di categoria il salario giusto, dando piena legittimazione alla pretesa della contrattazione collettiva, se condotta da attori qualificati e realmente rappresentativi, di concorrere alla regolazione del mercato del lavoro. Un accordo interconfederale sottoscritto da tutte le organizzazioni datoriali rappresentative sarebbe anche la via più auspicabile per risolvere il problema della sovrapposizione dei perimetri contrattuali, con soluzioni di compromesso che consentano a tutti gli attori collettivi di riconoscersi nelle regole autodeterminate.

La Commissione dell’Informazione auspica pertanto che il dibattito contingente sul salario minimo possa essere l’occasione per individuare nel Cnel un “forum permanente” di confronto e collaborazione stabile e continuativa tra le forze sociali e tutti i soggetti istituzionali che raccolgono dati utili per il monitoraggio sistematico della contrattazione collettiva e dei salari, con l’obiettivo di disporre di informazioni complete e il più possibile condivise su temi così centrali per la definizione delle politiche e delle leggi in materia economica e sociale.

Vanessa Pompili