Presentato alla Camera dei Deputati il Rapporto Inapp 2023

Nataliya Bolboka
14/12/2023
Tempo di lettura: 6 minuti
Rapporto Inapp 2023

“Conoscere le criticità, indagarle in modo non banale, cogliere i segnali che possano aiutarci a fronteggiare il presente e i problemi che si affacciano dietro l’angolo è da stimolo al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle italiane e degli italiani”. Così la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Elvira Calderone, nel suo messaggio durante la presentazione del Rapporto 2023 dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp).

Presentato nella Sala della Regina presso la Camera dei deputati, il Rapporto ha messo in luce le numerose ombre che caratterizzato il mercato del lavoro italiano. “Ci troviamo di fronte a problemi strutturali di lunga data”, che i ricercatori Inapp hanno evidenziato con precisione. L’analisi degli esperti “rappresenta un’occasione importante per fare delle valutazioni sui risultati e sull’efficacia delle politiche del lavoro adottate fin qui”, ha dichiarato la ministra.

Dopo la crisi pandemica il mercato del lavoro italiano ha ricominciato a crescere, ma con rallentamenti dovuti sia a fattori esterni, come il conflitto russo-ucraino, l’aumento dell’inflazione e la crisi energetica, ma anche a fattori interni, in primis il basso livello dei salari, la scarsa produttività e la poca formazione.

“Occorrono degli interventi mirati e celeri capaci di indirizzare il mercato del lavoro verso una crescita più sostenuta, che non può prescindere dalla rivoluzione tecnologica e digitale che sta modificando i processi produttivi”, ha affermato il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, nell’illustrare il report.

Tra le criticità riscontrate la questione salariale è senza dubbio un problema chiave. Dal Rapporto, infatti, emerge che tra il 1991 e il 2022 i salari reali sono rimasti pressoché invariati, con una crescita dell’1 per cento, contro una media del 32,5 per cento dei Paesi Ocse. In particolare, nel solo 2020 (terzo nell’anno della pandemia da Covid-19) si è registrato un calo dei salari in termini reali del meno 4,8 per cento. Quest’anno si è registrata anche la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse con un meno 33,6 per cento.

A queste problematiche si aggiunge la scarsa produttività. Dalla seconda metà degli anni Novanta, infatti, la crescita della produttività è stata di gran lunga inferiore rispetto agli altri Paesi del G7, segnando un divario massimo nel 2021 pari al 25,5 per cento.

Per quanto riguarda le assunzioni, dopo il boom registrato a fine pandemia con 713mila nuovi ingressi nel 2021, nel 2022 le nuove attivazioni nette sono state 414mila, di cui il 46 per cento donne. Anche la categoria dei giovani, dopo essere stata colpita profondamente dalla pandemia e dalla precedente crisi del 2008, conferma il recupero di quote occupazionali: il 26 per cento delle attivazioni del 2022 si concentra nella fascia dai 25 ai 34 anni, a seguire le quote dei 35-44enni (21 per cento) e dei 45-54enni (20 per cento).

La forza lavoro, però, è sempre più anziana. Ogni 1.000 lavoratori di 19-39 anni ci sono ben 1.900 lavoratori adulti-anziani, con i picchi maggiori nella pubblica amministrazione (3,9 lavoratori anziani ogni lavoratore giovane), seguita dal settore finanziario e assicurativo.

Tra denatalità, alto tasso di Neet ed emigrazione giovanile, la questione su questo fronte si fa sempre più difficile. Il ricambio generazionale, infatti, è un fattore fondamentale per generare ricchezza per il Paese e per garantire il buon funzionamento del welfare. Da qui l’importanza e la necessità di valorizzare la componente giovanile del Paese e rendere più attrattivo il mercato del lavoro italiano.

Altro fattore critico è il fenomeno delle grandi dimissioni che sta caratterizzando il mercato del lavoro post pandemico, con un 14,6 per cento degli occupati tra i 18 e i 74 anni (oltre 3,3 milioni di persone) che hanno pensato di dimettersi.

A livello aziendale nemmeno gli incentivi per le nuove assunzioni sembrano costituire un elemento decisivo nel trainare il mercato del lavoro. Solo il 4,5 per cento delle imprese, infatti, sostiene che l’introduzione del programma di incentivazione è stato importante ai fini delle loro decisioni di assunzione.

Ad ogni modo la probabilità di ricorrere a uno o più schemi di incentivazione all’occupazione è maggiore del 50 per cento per le imprese di grandi dimensioni (con più di 250 addetti), mentre si riduce sensibilmente raggiungendo il 24 per cento per le microimprese. Le imprese del Mezzogiorno sono molto più propense a utilizzarle: circa il 38 per cento delle imprese del Sud e il 36 per cento di quelle localizzate nelle Isole dichiara di aver usato almeno un incentivo, contro il 20 per cento (in media) delle aziende localizzate nelle altre aree.

In generale, forme di agevolazione hanno interessato quasi 2 degli oltre 8 milioni di nuovi contratti attivati nel 2022, ovvero il 23,7 per cento. L’incentivo più utilizzato è stata la Decontribuzione Sud che ha riguardato il 65 per cento dei nuovi contratti, seguito dall’Apprendistato (20 per cento) e dagli incentivi rivolti a target specifici: Esonero giovani con il 4,7 per cento e Incentivo donne, che ha inciso per il 4,8 per cento sull’occupazione totale.

Nonostante la pluralità di incentivi in campo, la composizione e il relativo squilibrio di genere restano immutati. Inoltre, il 58,5 per cento delle assunzioni agevolate delle donne è a tempo parziale, contro il 32,2 per cento degli uomini. Il ricorso agli incentivi, quindi, riproduce lo scenario noto di un’occupazione femminile minore per quantità (le donne sono il 40,9 per cento delle assunzioni agevolate) e con minori ore lavorate, che spesso deriva dalla difficile conciliazione tra lavoro, genitorialità e compiti di cura culturalmente affidati alla donna.

Anche l’apprendistato duale continua ad avere una scarsa capacità di attrazione nei confronti delle imprese e dei giovani, con un peso residuale tra il 3 per cento e il 4 per cento del totale degli apprendisti in formazione. Si conferma, inoltre, la tendenza alla concentrazione degli apprendisti per la qualifica e il diploma professionale in alcune macroaree e in un numero molto limitato di territori: la Pa di Bolzano e la Lombardia raccolgono da sole tra il 78 per cento e l’83 per cento degli apprendisti in formazione. Il perpetuarsi di queste disuguaglianze è la spia di divari strutturali mai risolti e introduce un ulteriore elemento di freno nell’aumento dell’utilizzo dell’apprendistato duale.

Inoltre, a differenza di altri Paesi europei, in Italia si continua a registrare lo scarso utilizzo dell’apprendistato per l’alta formazione e la ricerca. Nel 2021 il numero di apprendisti inseriti nei percorsi per il conseguimento di un titolo di istruzione terziaria era di 609 unità, in calo rispetto all’anno precedente. Anche in questo caso si registra una notevole concentrazione territoriale degli apprendisti in formazione.

Rispetto alla formazione continua si confermano i bassi livelli di partecipazione degli individui agli interventi formativi. La popolazione adulta di età compresa tra 25 e 64 anni che ha partecipato ad attività di istruzione e formazione è stata infatti nel 2022 pari al 9,6 per cento, contro l’11,9 per cento della media europea.

Nel complesso emerge un quadro piuttosto difficile, dove il mercato del mercato del lavoro non è un mondo chiuso ma riflette le scelte di politica industriale ed economica del Paese.

Nataliya Bolboka