Pesca e ambiente: il futuro è già qui

Redazione
19/03/2024
Tempo di lettura: 4 minuti
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di DANIELA TORRESETTI

A livello europeo l’Italia è il sesto Paese per consumo di pesce, con circa 30 chilogrammi all’anno pro capite (Eumofa, anno 2021).

Ma chi sono questi consumatori?

Nella primavera del 2023 è stata pubblicata una ricerca sull’evoluzione dei consumi di prodotti ittici realizzata da Isnart (Istituto nazionale ricerche turistiche), che rileva un profilo dell’acquirente tipo ricco di spunti interessanti. Sicuramente gli italiani amano il pesce, ma prediligono quelli facili da cucinare e sempre le stesse specie, quali, nell’ordine, orata, salmone e nasello.

Ben il 42,2 per cento degli italiani lo consuma regolarmente (una volta a settimana) con la convinzione che sia un prodotto salutare o semplicemente per variare la dieta.

Però il Mediterraneo è un mare molto sfruttato e le specie non riescono a riprodursi e crescere per soddisfare la domanda.

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Allora il pesce che consumiamo da dove arriva?

Nel 2021, in Italia gli oltre 12 mila pescherecci hanno sbarcato oltre 145 mila tonnellate di pescato, a cui si deve aggiungere la produzione acquicola di ben 146 mila tonnellate di organismi acquatici (fonte Eumofa). Quantitativi importanti che non bastano a soddisfare il consumo interno nazionale, così oltre un miliardo di tonnellate di pesce sono importate da altri Paesi europei e non solo.

Ci sono imprese che però si stanno timidamente avvicinando a nuovi mercati; partendo dalle produzioni tradizionali hanno guardato oltre il contingente. Per loro “molte volte, le persone non sanno cosa vogliono finché non glielo mostri” (Steve Jobs, fondatore di Apple).

Si possono evidenziare, ad esempio, tre realtà imprenditoriali che hanno monetizzato il “nuovo” scommettendo su innovazione e nicchie emergenti o inesplorate.

1. LocalCoho: acquacoltura a km0

L’aumento della temperatura e la presenza nelle acque delle microplastiche ha indirizzato questa impresa americana all’allevamento di salmone in un ambiente chiuso e controllato rispettoso delle risorse naturali e del benessere animale.

Attualmente è stato costruito un piccolo prototipo a nord nello stato di New York, perché è una posizione strategica per sia per la vicinanza al mercato newyorkese che per la ricchezza di risorse naturali, quali fiumi e laghi. In particolare, la società ha scelto l’alta qualità curando l’allevamento di salmone dalle uova fino all’adulto nello stesso stabilimento e puntando all’uso sostenibile delle acque con un avanzato sistema di microfiltrazione.

Anche il benessere animale è garantito in tutte le fasi di crescita nel monitoraggio sia degli spazi che delle condizioni ottimali di temperatura e ossigeno. Una curiosità sulla cattura, il salmone raggiunti i tre chilogrammi di peso viene pescato con il metodo giapponese Ikejime, cioè senza agonia o panico con benefici anche sulla qualità delle carni.

Un piccolo successo di acquacoltura di prossimità, che l’impresa prevede di replicare a fine 2024 con un programma di investimenti su larga scala.

2. Bettafish: alternativa vegana al tonno

Ambiziosa e giovane realtà berlinese, che è il frutto di una sinergia di start-up e che cresce sull’onda della green economy. L’impresa miscela sapientemente le alghe oceaniche per riprodurre il sapore e la consistenza del tonno.

Perché questa scelta?

Le alghe coltivate nell’oceano sono oltre un migliaio e il tonno è un prodotto consumato in tutto il mondo. Semplice, ma anche estremamente sfidante. Tanto che, oltre ad aver studiato una ricetta unica e appetibile, l’impresa ha puntato su un packaging accattivante, che strizza l’occhio alla classica scatoletta di tonno.

3. Forsea Foods: il filetto di anguilla in vitro

L’impresa nasce con l’idea di coltivare filetto di anguilla giapponese, poiché è un pesce selvatico a rischio di estinzione ed ha un alto valore di mercato.

A febbraio di quest’anno è stato presentato il primo prototipo frutto della collaborazione con un famoso chef nipponico e le più innovative tecniche di coltivazione in laboratorio.

Per contenere i costi ed essere competitivi, la start-up ha puntato sul tessuto 3D in grado di scambiare i nutrienti con le cellule in crescita più efficientemente della tecnica classica (bioreattori o impalcature commestibili).

La produzione per il mercato è prevista nel 2025, non solo per l’organizzazione della produzione, ma perché in attesa dell’autorizzazione commerciale dalla preposta autorità giapponese.

Le opportunità ci sono tra fondi europei (Fondo europeo per gli affari marittimi, per la pesca e l’acquacultura) e nazionali (Piano nazionale triennale della pesca e acquacoltura e Fondo solidarietà nazionale). L’obiettivo comune è traghettare il cambiamento nel modo di fare pesca e acquacoltura in un contesto radicalmente cambiato sia ambientale che economico.

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