Lo sport del 2023 tra Gianni Brera e l’intelligenza artificiale

Giampiero Castellotti
07/11/2023
Tempo di lettura: 8 minuti
Stadium 1590576 1280

“Il principe della zolla”, “Coppi e il diavolo”, “La ballata del pugile suonato”, “L’abatino Berruti”. Per cogliere l’essenza più profonda e la straordinaria efficacia letteraria del racconto sportivo di ogni tempo è sufficiente passare in rassegna i geniali titoli di alcuni libri di Gianni Brera, uno dei maestri del giornalismo sportivo italiano, l’inimitabile “Arcimatto” impastato di ironia e di passionalità.

Il “padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni, cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti”, come si è autodefinito il giornalista pavese in uno dei suoi tanti scritti, incarna, ancora oggi, l’identità e l’entità di questa professione.

Il contributo letterario di Brera. infatti, è estremamente vivo. E rappresenta un punto di riferimento per “il mestiere” degli accoliti più bravi. Indimenticabile cesellatore di immortali metafore e giochi di parole, coniatore di soprannomi che hanno fatto scuola – da quel “Rombo di tuono” per Gigi Riva a “Bonimba” per Roberto Boninsegna, da “Penna bianca” per Roberto Bettega a “Barone” per Franco Causio – “il Gioânn” ha fatto dell’incomparabile padronanza della lingua italiana applicata al giornalismo sportivo una sorta di “marchio di fabbrica”, amalgamando racconto e mitologia, memoria e letteratura. Innumerevoli discepoli continuano ad utilizzare nel calcio i neologismi di suo conio, dal “centrocampista” al “contropiede”, dal “cursore” al “disimpegno” dalla “melina” alla “rifinitura”. Brera, insomma, con il suo talento ha segnato e avvalorato il miglior giornalismo sportivo, smentendo irrevocabilmente quella schiera di supponenti giornalisti tout court che considerano la branca sportiva “di serie B” rispetto ad esempio alle loro più “seriose” economia o politica, i cui attuali salotti televisivi – ad onor del vero – scimmiottano proprio il biscardiano – ed anche un po’ kafkiano – “processo” sportivo.

Altri tempi, si dirà. Ma ieri come oggi, il miglior giornalismo sportivo, in linea con l’effervescenza propria dello sport, con i miti disseminati nei secoli, con la centralità dell’individuo e con il corollario dei suoi valori, è principalmente questo: esposizione e descrizione di gesta, celebrazione di prodezze, storicizzazione di “imprese”. È ragguaglio e analisi, cronistoria e valutazione, elogio e biasimo, stimolo e provocazione, immaginario e retorica dell’avvenimento. Diventando narrazione, racconto epico, epopea. A volte testimonianza storica: i trofei da campioni del mondo, le medaglie olimpiche, i podi frutto di impegno e sacrificio entrano a far parte della storia e dell’identità di un intero Paese.

Le occasioni per alimentare ulteriormente questa giostra infinita, la sconfinata saga di cronache e commenti, si rinnovano annualmente. E se nello sport non potrà mai esistere un momento uguale ad un altro, come ben ammoniva Michael Schumacher, è altrettanto vero che tutto l’agonismo più blasonato è racchiuso in una cornice di appuntamenti che si ripetono ciclicamente, generando spasmodiche e reiterate attese nei tifosi per sfide mai banali. Il ricco patrimonio del passato e la stimolante offerta del nuovo, nell’epos dello sport, si inseguono e si sovrappongono sempre.

Ecco allora che, non ancora sopiti i botti di capodanno, l’Australian Open, primo dei quattro tornei annuali di tennis del Grande Slam, apre l’anno, un rito che si ripete da oltre un secolo. Precede altri titolati appuntamenti, come il Sei Nazioni di rugby, il Superbowl di football americano, la Milano-Sanremo e il Giro d’Italia di ciclismo, le prime tappe stagionali di F1 e MotoGP. E ancora, con l’inoltro nella bella stagione, gli Internazionali d’Italia di tennis, le grandi finali internazionali di calcio e di basket, il Roland Garros e Wimbledon di tennis, il Tour de France e il mondiale su strada di ciclismo, le finali di Coppa Davis. Ogni occasione rinnova sensazioni umanissime, dall’apprensione all’esaltazione fino alla divisione quasi netta tra gioia e sconforto. Il racconto perfetto è il cimento più impegnativo, provando a seguire il solco dei grandi maestri del tempo trascorso. Perché sport e vita si fondono. E il giornalismo di oggi richiama sempre indelebili ricordi di un passato diventato leggenda.

Così, una radio sempre rediviva, ad esempio quella delle seguitissime emittenti locali che hanno nello sport il punto di forza, resta sulla scia delle caratteristiche voci di Nicolò Carosio, Enrico Ameri o Sandro Ciotti, capaci di alimentare per decenni, da una radiolina portatile, in un parco pubblico o in una fantozziana riunione, l’immaginazione e l’evasione di milioni di italiani. Nuove generazioni di commentatori sportivi, seguendo gli azzurri di Spalletti, provano a rispolverare le cronache televisive di Nando Martellini e Bruno Pizzul che hanno accompagnato sotto cieli spagnoli o tedeschi, tra ragione ed istinto, trionfi e sconfitte della nazionale e di un Bel Paese intero, imbandierato da Aosta a Palermo. E se nel piccolo schermo Adriano De Zan ha personificato il ciclismo, Aldo Giordani il basket, Alberto Giubilo l’ippica, Alfredo Pigna lo sci, Rino Tommasi il pugilato, con il racconto delle mitiche imprese dei fratelli Abbagnale nel canottaggio indissolubilmente legato nell’immaginario popolare all’entusiasmo di Gian Piero Galeazzi, la Supercoppa italiana a Riad, la finale di Europa League a Budapest, di Conference League a Praga, di Champions League a Istanbul, i mondiali di nuoto a Fukuoka, quelli femminili di calcio in Nuova Zelanda, di ciclismo a Glasgow e di atletica a Budapest fino alla Ryder Cup di golf a Roma hanno riempito una nuova pagina di competizioni e di imprese nella storia dello sport, archiviata con l’anno 2023.

Penne illustri dello sport di ieri e di oggi sono capaci non solo di restituire eroismi attraverso un testo e di rivelare retroscena, ma anche di trasmettere i valori insiti nell’agonismo. Andrea Lucchetta, pallavolista italiano che ha vinto tanto tra gli anni Ottanta e Novanta, è stato uno dei primi atleti a “saltare il fosso” e diventare commentatore sportivo. Con un’attenzione particolare alla promozione di un’informazione in grado di diffondere la valenza dei valori sportivi. “Lo sport, dal punto di vista sociale, incide tantissimo nell’adolescenza perché aiuta a formare il carattere, a mettersi in gioco rispettando le regole, i compagni e le compagne e gli avversari. È una vera scuola di vita. Per gli adolescenti può essere un binario privilegiato di crescita – sono le sue parole, accompagnate dal costante impegno che si traduce in presenza presso tante manifestazioni sportive solidali.

Proprio l’aspetto “educativo” dello sport in ogni epoca ha i suoi grandi giornalisti. Gianni Minà, ad esempio, ha saputo esplorare ed evidenziare l’uomo, oltre al campione, mettendone a nudo anche le debolezze: speciale il suo rapporto con alcune leggende dello sport, come Maradona e Cassius Clay. Luca Goldoni, Enzo Tortora e Sergio Zavoli sono partiti dal giornalismo sportivo per poi primeggiare in altri ambiti con elevati tassi di affabilità e di introspezione. Candido Cannavò, formatosi giovanissimo nella provincia catanese, è diventato prima inviato speciale della Gazzetta dello Sport (seguendo ben nove Olimpiadi) poi direttore del quotidiano rosa per gloriosi vent’anni, affiancando al “mestiere” quello di saggista attento ai problemi sociali (ha pubblicato tre importanti libri sulla situazione delle carceri italiane, dei disabili e dei senzatetto). Oliviero Beha ha saputo armonizzare il giornalismo sportivo d’inchiesta con la sensibilità sociale e la poesia. Gianpaolo Ormezzano è stato invece uno dei primi ad accordare, con eloquenza, il giornalismo sportivo al tifo appassionato e salutare per una blasonata squadra di calcio, nel suo caso il Torino.

E se questi ed altri illustri cantori hanno descritto con perizia le imprese di Coppi e di Bartali, di Muhammad Ali e di Mike Tyson, di Eddy Merckx e di Felice Gimondi, di Pelé e di Johan Cruijff, di Pietro Mennea e di Sara Simeoni, gli eredi del “mestiere” effigiano, in questo 2023, le abilità di Becco Bagnaia, Filippo Ganna, Sofia Goggia, Gregorio Paltrinieri, Jannik Sinner, Gianmarco Tamberi, soltanto per restare in ambito nazionale.

Certo, il mondo cambia, i nuovi mezzi di comunicazione già dagli anni Settanta hanno esteso all’inverosimile la schiera dei protagonisti delle cronache e dei commenti, giornalisti e non, sempre meno garantiti e più precari, talvolta “improvvisatori” di convenienze, mentre le nuovissime tecnologie del web hanno reso tutto più semplificato, rapido, fluido, piatto, schematico, omologato, spesso superficiale. Il collage ricavato dal web è spesso l’ultima frontiera. L’intelligenza artificiale e l’automazione potrebbero assestare un ulteriore colpo alla qualità dell’offerta, mandando in gran parte in soffitta il patrimonio letterario e poetico di Brera e compagni, la capacità critica, l’interpretazione, il rigore, il “pensiero audace” alla Beppe Viola, l’inchiesta che spulcia anche retroscena e bilanci.

Consumi sempre più ossessivi alterano l’esecuzione e la natura di molti eventi e la loro modalità di trasmissione, laddove la quantità, surclassando la qualità, impone titoloni acchiappa-click, con le fidanzate dei protagonisti che assumono paradossalmente dei ruoli primari e il privato che accompagna via social la performance sportiva. Gran parte dello sport è diventato “sistema”, con meccanismi più complessi, attori più numerosi e diversificati, prassi analoghe a quelle della società in genere, rapporti maggiormente stretti tra giornalisti e atleti (ruoli talvolta intercambiabili), ma anche burocrati, dirigenti, vertici di società sportive, procuratori, editori, persino politici-tifosi. Lo sport del 2023, purtroppo, è anche questo.

Tuttavia, per fortuna, prestazione e racconto rimangono i due capisaldi dell’agonismo e del giornalismo sportivo e finché le redini resteranno in mani umane c’è ancora speranza. “Lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere”. L’ha scritto Gianni Mura. Ci sono sempre bravi giornalisti sportivi in attività.

Giampiero Castellotti