Le criticità degli atenei meridionali

Domenico Mamone
05/04/2022
Tempo di lettura: 4 minuti

Qual è lo stato di salute dell’università nel nostro Paese? E, in particolare, in un’ottica comparativa, qual è il quadro della domanda e dell’offerta di istruzione terziaria nel Centro-Nord e nel Mezzogiorno, con le conseguenze che ne derivano per la formazione di capitale umano e quindi anche per le assunzioni operate da noi imprenditori?

A rispondere a queste (e ad altre) domande c’è uno studio diffuso nei giorni scorsi dalla Banca d’Italia. È intitolato “Il sistema universitario: un confronto tra Centro-Nord e Mezzogiorno” ed è a cura dei ricercatori Vincenzo Mariani e Roberto Torrini. Il report conferma, purtroppo, la crescente difficoltà degli atenei del nostro Mezzogiorno.

Con riferimento alla domanda, come si legge nello studio stesso, viene descritto “l’andamento delle iscrizioni e come vi incidano gli sviluppi demografici sottostanti e le differenze nei profili di mobilità territoriale”. Emergono i differenziali nei risultati conseguiti dagli studenti, meno favorevoli per gli iscritti in atenei del Mezzogiorno, mostrando come questi dipendano in misura rilevante dalle differenze nel loro background formativo.

Con riferimento all’offerta, viene esaminata la distribuzione territoriale delle risorse, descrivendone l’evoluzione alla luce della graduale applicazione della riforma del 2010, che ha introdotto nuovi criteri di allocazione basati sul numero degli iscritti e sui risultati della ricerca, in un contesto di forte contrazione dei finanziamenti. Viene, quindi, esaminata la composizione delle entrate degli atenei, mostrando come, a fronte di finanziamenti pubblici pressoché proporzionali al numero degli studenti, le università delle aree in ritardo siano penalizzate dalla minore capacità contributiva degli iscritti.

Attualmente lo Stato destina ogni anno 8,5 miliardi di euro alle università: secondo gli autori dello studio, occorrerebbe portare la spesa italiana in rapporto al Pil in linea con quella media europea, quindi aggiungere almeno cinque miliardi di finanziamenti aggiuntivi.

Il quadro che emerge dallo studio per il nostro Sud è purtroppo impietoso: gli atenei meridionali hanno servizi più arretrati rispetto alle altre aree del Paese, limitate capacità di utilizzare i fondi statali ed europei (la conseguenza sono minori finanziamenti) e purtroppo studenti con risultati accademici peggiori rispetto ai colleghi del Centro-Nord.

C’è poi un problema demografico non trascurabile, per cui gli atenei del Sud perdono iscritti.

Facendo parlare i numeri, nell’anno accademico 2019/2020, nelle università italiane si sono immatricolati 313mila studenti di cui il 37 per cento residente nelle regioni del Mezzogiorno. Ma la crescita delle immatricolazioni negli anni precedenti presenta rilevanti differenze territoriali: tra il 2013 e il 2019, infatti, gli immatricolati nelle regioni del Centro-Nord sono cresciuti del 20 per cento, mentre quelli del Sud del 10 per cento. Per il futuro, però, a causa anche dell’andamento generale demografico, il dato delle immatricolazioni sarà negativo: le proiezioni dell’Istat prevedono che nel 2030 ci sarà il 13 per cento in meno di giovani nelle regioni del Sud e un aumento del 3 per cento al Nord, ma entro il 2040 un calo del 22 per cento dei giovani al Centro-Nord e del 33 per cento nelle regioni meridionali.

Il dato negativo del Mezzogiorno non è figlio soltanto della decrescita della popolazione, ma anche del trasferimento al Nord di tanti studenti. Nel 2018, un quarto degli studenti del Sud si è iscritto nelle università del Centro-Nord. In termini assoluti si tratta di 25mila studenti ogni anno, quota maggioritaria dei circa 37mila individui che si trasferiscono dalle regioni del Sud al Centro-Nord ogni anno. Le motivazioni sono intuibili: migliori servizi, superiore qualità della didattica, esperienze più articolate (non ultime le possibilità di svago nel tempo libero), maggiori possibilità di inserimento lavorativo. Si tratta, insomma, di veri e propri investimenti per il futuro di un ragazzo.

Del resto, riguardo ai risultati accademici degli studenti, l’analisi della Banca d’Italia evidenzia il netto divario formativo che penalizza gli studenti degli atenei del Mezzogiorno. Al dato contribuisce il differente livello di preparazione degli studenti nelle scuole superiori, mediamente inferiore al Sud, e a contesti sociali e familiari mediamente meno favorevoli.

Il lavoro si conclude con alcune proposte di policy riguardanti soprattutto la necessità di innalzare il finanziamento del sistema universitario e l’introduzione di possibili correttivi alle modalità di ripartizione delle risorse, nel rispetto del sistema degli incentivi introdotti dalla riforma.

Per leggere lo studio, cliccare QUI.

I due autori: vincenzo.mariani@bancaditalia.itroberto.torrini@bancaditalia.it.

Domenico Mamone