Lavoro, pausa pranzo sempre più cara

Giovanni Castellotti
24/01/2024
Tempo di lettura: 4 minuti
Anna Maria Mazzini Chief Growth Officer Pluxee Italia
Anna Maria Mazzini

La pausa pranzo è sempre più cara per i lavoratori italiani, da nord a sud. Lo confermano diverse fonti, tra cui i dati interni e la ricerca condotta da BVA Doxa per Pluxee Italia, partner leader per i benefit e il coinvolgimento dei dipendenti che apre un mondo di opportunità per vivere al meglio ciò che conta davvero per ognuno di noi. Indipendentemente dalle differenze territoriali, il prezzo medio della pausa pranzo per i dipendenti in Italia oggi si aggira su una media attorno agli 11 euro: una cifra, questa, che avrebbe subìto un aumento considerevole rispetto al periodo pre-pandemico, come riportato da diversi indicatori (+8%, secondo le stime dell’Osservatorio Nazionale Federconsumatori). 

In questo contesto, i Buoni Pasto, già tra i benefit aziendali più apprezzati da imprese e lavoratori, diventano uno strumento ancor più necessario per aumentare il potere di acquisto dei dipendenti, garantendo loro una pausa pranzo varia ed equilibrata. Usufruendo dei vantaggi posti dell’attuale normativa, le aziende già oggi infatti possono innalzare il valore facciale dei Buoni Pasto, in formato digitale, fino a 8 euro. Un innalzamento questo, 100% deducibile per le aziende ed esentasse, che consentirebbe di ridurre la disparità attuale tra il valore facciale medio dei buoni pasto erogati (valore che oggi, secondo dati interni di Pluxee Italia, si aggira attorno ai 6 euro) e il reale costo della pausa pranzo fuori ufficio.  

Secondo i dati della ricerca realizzata da BVA Doxa per Pluxee Italia, l’80% delle consumazioni durante la pausa pranzo fuori ufficio avviene nei locali (come bar e ristoranti), con costi che variano notevolmente: si parte da una media di 8,10€ per la consumazione di un panino/piadina/toast con bevanda e caffè, e si raggiunge un costo medio di 15€ per un menù completo. Per consumare invece un primo piatto si spendono mediamente 9,80€, mentre per un secondo piatto, la cifra si aggira attorno agli 11,60€.  

Le consumazioni da asporto, che costituiscono il 20% sul totale delle pause pranzo fuori ufficio degli italiani, risultano leggermente più contenute: in media 6,00€ per un panino/piadina/toast (escluse bevande), 7,40€ per un primo piatto e circa 9,30€ per un secondo piatto. 

A livello regionale però si possono notare differenze piuttosto evidenti: al Nord, dove il costo della pausa pranzo fuori ufficio è superiore rispetto al resto dell’Italia, per consumare un panino/piadina/toast con bevanda e caffè si può arrivare a spendere 8,90€ (Lombardia), mentre la cifra si aggira attorno a 7,80€ nel Centro Italia o 7,40€ nel Sud e Isole.  Similmente, per consumare un menù completo con bevande incluse, la cifra stimata nel Nord Italia può arrivare fino a 16,10€ (in particolare nel Nord Est) invece che 13,30€ del Sud e Isole. Il divario si manifesta anche nelle consumazioni da asporto: il prezzo di un panino/piadina/toast si aggira attorno a 4,80€ nel Sud Italia e Isole, raggiunge un picco di 6,80€ in Lombardia. 

“In un contesto di inflazione crescente e costi in aumento per la pausa pranzo, l’opportunità per le imprese di rivedere e potenziare il valore dei buoni pasto è di rilievo. Questa revisione non solo si adatta alla situazione economica attuale, ma offre anche la possibilità di sfruttare appieno le esenzioni fiscali italiane. Le aziende possono erogare buoni pasto in formato digitale fino a 8 euro, totalmente esentasse per aziende e dipendenti. Un passo strategico che, oltre a fornire un supporto finanziario ai lavoratori, sottolinea l’impegno dell’azienda nel promuovere il benessere dei collaboratori. Se consideriamo che il mercato dei buoni pasto in Italia si attesta attorno a 4 miliardi di euro di valore e 4 milioni di consumatori, con una grande possibilità di ampliamento per il settore poiché sono 19 i milioni di consumatori potenziali, appare evidente che abbiamo un notevole gap da colmare anche in termini di informazione e diffusione. Questo riguarda soprattutto le PMI, le quali rappresentano circa l’80% del tessuto imprenditoriale del nostro Paese – Anna Maria Mazzini, chief growth officer di Pluxee Italia 

Giovanni Castellotti