Itinerari previdenziali: il bilancio per singola regione

Redazione
09/11/2023
Tempo di lettura: 8 minuti
Itinerari

Ideale continuazione dei Rapporti su “La regionalizzazione del bilancio statale” curati dal Prof. Alberto Brambilla tra il 2000 e il 2005,  e quindi del Sesto Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio previdenziale: modalità di finanziamento e prestazioni” a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, il documento si pone l’obiettivo di fornire la dimensione finanziaria delle entrate contributive e fiscali che sostengono il welfare italiano nelle sue tre principali componenti (pensioni, assistenza sociale e sanità) e le relative uscite per prestazioni. Un’aggregazione di dati utili a comprendere gli andamenti delle forme di protezione sociale del nostro Paese, analizzati non solo a livello a nazionale, ma scomposti per singola Regione, così come peraltro richiederebbe la procedura di comunicazione dell’Unione Europea.

L’analisi, che fotografa i trend degli ultimi 42 anni attraverso la lente del sistema previdenziale e assistenziale, è relativa alle gestioni private INPS (lavoratori dipendenti, artigiani, commercianti, imprenditori agricoli e parasubordinati) per il periodo compreso tra il 1980 e il 2010; a partire dal 2011, la gestione ricomprende anche i dati relativi a IPOST e dal 2013 quelli di ENPALS confluiti in INPS. Dal 2001, poi, è iniziata la regionalizzazione delle gestioni pubbliche gestite da INPDAP fino al 2011 e successivamente confluite in INPS, con una gestione contabile autonoma e separata. Completano infine il quadro degli enti previdenziali di primo pilastro le Casse privatizzate dei liberi professionisti. 

Realizzato nell’ambito delle verifiche di sostenibilità del welfare state italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, lo studio dedica poi un focus specifico alle entrate tributarie (dirette e indirette) e, in particolare, alle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF e a quelle aziendali relative all’IRAP: gli indicatori così elaborati consentono di delineare il profilo di distribuzione dei redditi dichiarati e, dunque, di fornire un’ulteriore unità di misura degli andamenti socio-economici nelle diverse aree del Paese.

Perché Regionalizzare? In Italia si è sempre affrontato il tema del welfare (e vale lo stesso per politiche economiche o relative al mercato del lavoro) come se il nostro fosse un Paese omogeneo, con le stesse problematiche e opportunità, tanto che ogni volta che si è proceduto con riforme o interventi, ad esempio sul sistema pensionistico, lo si è fatto con un approccio identico su tutto il territorio. Scenario in realtà confutato dai dati e, in particolare, dal confronto tra le diverse macroaree che evidenziano pesanti disequilibri, soprattutto a sfavore delle Regioni meridionali. 

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In Italia si è sempre affrontato il tema del welfare (e vale lo stesso per politiche economiche o relative al mercato del lavoro) come se il nostro fosse un Paese omogeneo, con le stesse problematiche e opportunità, tanto che ogni volta che si è proceduto con riforme o interventi, ad esempio sul sistema pensionistico, lo si è fatto con un approccio identico su tutto il territorio. Uno scenario in realtà confutato dai dati e, in particolare, dal confronto tra le diverse macroaree condotto dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali; confronto che, come emerge anche dal Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziali italiano” presentato il 7 novembre al CNEL, evidenzia in realtà pesanti disequilibri, soprattutto a sfavore delle Regioni meridionali. 

La regionalizzazione del bilancio previdenziale per il 2021 

Nel 2021 (ultimo anno di rilevazione al momento disponibile) il bilancio pensionistico/previdenziale del Paese – inteso come differenziale delle entrate e uscite delle gestioni INPS privati, INPS ex INPDAP per i dipendenti pubblici e delle Casse di Previdenza dei liberi professionisti – ha mostrato un disavanzo di 48,68 miliardi, in miglioramento rispetto ai 55,034 del 2014, anno di riferimento della precedente Regionalizzazione. Valore comunque consistente anche se, nei flussi di cassa presi a riferimento, non sono considerati i trasferimenti dallo Stato, attraverso la GIAS o da altri enti, a favore di prestazioni assistenziali o di sostegno alle famiglie, così come sono escluse eventuali contribuzioni figurative dovute ad agevolazioni e sgravi. 

Nel dettaglio, le entrate totali sono ammontate a 200,3 miliardi, con un miglioramento del 12,23%, mentre le uscite sono state pari a 248,99 miliardi, in crescita del 6,6% rispetto al 2014.  Guardando alla ripartizione per macroarea, si evidenzia la netta prevalenza del Nord, che vale oltre il 58% delle entrate e il 53% delle uscite; il Sud contribuisce per il 21% circa ma spende oltre il 26%, mentre il Centro presenta entrate contributive e uscite per prestazioni simili, intorno al 21%. 

Figura 1 – La ripartizione percentuale per macroaree di entrate e uscite

Figura 1 – La ripartizione percentuale per macroaree di entrate e uscite

Fonte: Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano”

A fronte di questi numeri, utile indicatore per capire se il sistema possa considerarsi vicino all’equilibrio o meno è allora offerto dai tassi di copertura, che indicano per l’appunto quanto i contributi versati riescano a coprire il costo delle prestazioni erogate:secondo il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, si avrebbe un equilibrio tra entrate e uscite se tutte le Regioni raggiungessero un valore pari al 75% e ripianassero cioè con entrate contributive almeno 3/4 delle uscite per prestazioni. 

Una misura del gap tra Regioni: i tassi di copertura al 2021

Nel 2021, a livello nazionale, il tasso di copertura risulta pari all’80,45%, in miglioramento rispetto alla rilevazione precedente (76,43%). Se la soglia del 75% è complessivamente superata, persistono però anche in questo caso gravi squilibri a livello territoriale. In particolare, tutte le regioni del Sud segnano livelli in crescita piuttosto bassi: la media è del 62,25%, con la Calabria che raggiunge un modesto 49,98%; poco meglio ma comunque sotto la media del Mezzogiorno anche Sicilia, Molise, Puglia e Basilicata (circa 60%). 

Tabella 1 – Bilancio previdenziale e tassi di copertura regionalizzati al 2021 

Tabella 1 – Bilancio previdenziale e tassi di copertura regionalizzati al 2021
​Fonte: Settimo Rapporto “La Regionalizzazione del Bilancio Previdenziale italiano”

Fa segnare un 81,53% il Centro, mentre il Nord tocca quota 88,96%, con buone performance soprattutto per Trentino (unica Regione pienamente autosufficiente con il 103,1%), Lombardia (99,66%), Veneto (95,51%) Lazio (90%) ed Emilia-Romagna (87,39%). 

Interessante, tuttavia, rimarcare come Piemonte e Liguria siano le uniche due regioni settentrionali posizionate, rispettivamente con il 72,92% e il 64,83%, al di sotto della soglia del 75%. In effetti, l’andamento dei tassi di copertura nel tempo lascia supporre come Nord e Centro possano aver risentito più del Sud delle modifiche strutturali della popolazione e, nello specifico, del suo progressivo invecchiamento. Tanto più che, nell’ultimo decennio, l’area settentrionale è stata più interessata rispetto alle altre dall’uscita dal lavoro dei cosiddetti baby boomer, lavoratori che nel periodo di maggiore sviluppo economico hanno avuto modo di realizzare carriere contributive lunghe e continue, spesso caratterizzate da retribuzioni sopra la media, che hanno dato a propria volta luogo a trattamenti previdenziali anch’essi al di sopra della media per importo e durata, e in parecchi casi erogate già a partire da età anagrafiche relativamente basse (durate di prestazioni coerenti sotto il profilo attuariale non dovrebbero superare i 20-25 anni). Nello stesso tempo, va considerato in molte aree del Nord un impatto occupazionale negativo imputabile alla crisi industriale che ha colpito in modo piuttosto marcato soprattutto diverse zone del Piemonte e della Liguria, per quanto contraccolpi si siano fatti sentire anche lungo l’asse industriale che attraversa la Lombardia con la chiusura di marchi storici nell’elettromeccanica, nell’avionica e nei settori tessili e delle macchine utensili.

Errori (del passato) da non ripetere e proposte per il futuro

Posta appunto quella del 75% come soglia-obiettivo, il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali individua quindi nell’efficientamento di infrastrutture e politiche attive per il lavoro i primi pilastri di una serie di interventi mirati, nell’arco di un decennio, a consentire a tutte le Regioni del Paese di raggiungere una maggiore autosufficienza dal punto di vista della capacità contributiva (sia fiscale sia previdenziale). Con il restante 25% affidato invece a un fondo di solidarietà nazionale. 

Come sottolineato anche dal Prof. Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, nel corso dell’evento di presentazione, «i risultati di bilancio fin qui evidenziati impongono infatti a politica e parti sociali di prendere coscienza di una situazione ormai troppo duratura per non essere analizzata con chiarezza,  e senza alcun intento persecutorio o ideologico, al solo scopo di cercare risposte e soluzioni a un problema evidente, quello del gap tra Nord e Sud, evitando il ripetersi di errori del passato». Come, ad esempio, la decontribuzione al Sud, artefice di un’occupazione di sussistenza, di fatto dissolta, o trasformatasi in ampie sacche di lavoro sommerso, una volta vietati gli sgravi contributivi.

L’insufficiente sviluppo di alcune aree del Paese, e in particolare delle regioni meridionali, è stato infatti a lungo compensato da politiche assistenziali che, come ben dimostrano anche i trend di lungo periodo (di ben 42 lo storico preso in considerazione dal documento), hanno però sortito solo l’effetto, opposto, di rallentarne ulteriormente la crescita. Tanto che gli sgravi contributi totali in vigore dagli anni Settanta sono stati considerati aiuto di Stato dalla Commissione Europea e, anche per questa ragione, progressivamente eliminati senza peraltro aver nel frattempo prodotto vantaggi competitivi. Ancora oggi, tuttavia, misure volte più a sussidiare che a dare sviluppo  tendono a pesare sul nostro debito pubblico, favorendo peraltro, quella commistione tra previdenza e assistenza che penalizza il nostro Paese nel confronto con gli altri Paesi dell’Unione Europea. 

Mara Guarino, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

(Comunicato stampa)

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