Indagine sul reddito di cittadinanza: tempi lunghi e poche prospettive di lavoro

Vanessa Pompili
06/04/2023
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Fortemente voluto dal primo governo Conte, il reddito di cittadinanza è stato oggetto di critiche e continue revisioni normative.

A quattro anni dalla sua istituzione, diverse le modifiche e integrazioni apportate alla misura. Ma sembra che ancora oggi, non riesca a raggiungere i risultati desiderati, almeno a lungo termine. Pensato come intervento di contrasto alla povertà, avrebbe dovuto poi evolversi in una possibilità di reinserimento nel mondo occupazionale, accompagnando il sussidio a una “ricerca attiva del lavoro”.

Progetto purtroppo disatteso nella realtà. L’Inapp, in qualità di Istituto di analisi delle politiche pubbliche, ha realizzato una doppia indagine che ha preso in considerazione sia i beneficiari delle misure di contrasto alla povertà, sia gli attuatori locali di tali misure, ovvero i centri per l’impiego, i servizi sociali comunali e gli ambiti sociali.

I dati più significativamente rilevanti emersi dallo studio sono relativi ai tempi di lavorazione delle domande e mancata attivazione lavorativa e/o formativa.

Trascorrono infatti circa quattro mesi e mezzo tra l’autorizzazione rilasciata dall’Inps per ottenere il Reddito di cittadinanza e la presa in carico del beneficiario da parte dei centri per l’impiego e dei servizi sociali comunali. Solo la metà dei centri (51,6 per cento) risulta in condizione di convocare entro i 30 giorni prescritti dalla norma i beneficiari della misura. I tempi di presa in carico da parte dei centri per l’impiego varia in base al volume di utenza che caratterizza i diversi territori. Così risultano più ridotti al Nord, dove l’attesa mediamente è di tre mesi e mezzo, mentre salgono al Sud arrivando anche a cinque mesi e mezzo. Meno problematiche le fasi successive, ossia la stipula del patto, la definizione di un’agenda di appuntamenti e la verifica degli impegni e delle condizionalità posti a carico dei beneficiari.

Altro punto debole dell’attuale RdC riguarda l’offerta di lavoro e le attività formative, sia sul fronte sociale che su quello dei servizi per l’impiego. Soltanto una minima parte di rispondenti, tra il 3 e l’8 per cento a seconda della tipologia di servizio, ritiene che la misura abbia prodotto risultati in termini di attivazione lavorativa e formativa. La stessa carenza viene individuata anche dal quasi 60 per cento degli ambiti territoriali e dei centri per l’impiego.

L’indagine dell’Inapp ha anche permesso di tracciare anche un identikit dei beneficiari. Il 60 per cento è rappresentato da donne sole e/o con figli, con un’età media di 49 anni. I beneficiari della misura di contrasto alla povertà sono equamente distribuiti in tutto il territorio italiano, ma con una quota maggioritaria al Sud (33,7 per cento). Bassissima invece la quota dei percettori che proviene da Paesi extraeuropei. Si tratta di soggetti caratterizzati da un livello di istruzione tendenzialmente basso e poco qualificati dal punto di vista della qualifica professionale (il 78 per cento di coloro che dichiarano di essere occupati ha un basso profilo professionale).

Questi tipi di sussidi hanno intercettato non solo persone che si trovano in condizioni di svantaggio economico e materiale. Lo studio mostra, infatti, come siano altrettanto fondamentali aspetti legati alla vita relazionale, all’istruzione e alla formazione, allo stile di vita: dimensioni che non devono essere trascurate nella programmazione e nell’attuazione dei processi di inclusione sociale.

Vanessa Pompili