Il reddito di cittadinanza va mantenuto, ma deve essere tarato sui veri poveri

Domenico Mamone
18/10/2022
Tempo di lettura: 3 minuti
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Il XXI rapporto della Caritas su povertà ed esclusione sociale, intitolato “L’anello debole”, invita a qualche riflessione.

Innanzitutto si confermano dati sempre più drammatici sul fronte sociale. Le persone in difficoltà, come ha già attestato l’Istat, aumentano sensibilmente di numero: quelle in povertà assoluta hanno raggiunto quota 5,6 milioni. Cioè circa un italiano su dieci. È il nuovo massimo storico.

La Caritas, da parte sua, fa sapere che le persone incontrate e supportate sono state 227.566, in aumento del 7,7 per cento rispetto al 2020.

Nonostante la tanto sbandierata crescita del Pil nel 2021, che ha toccato il 6,7 per cento, seguente però alla pandemia che aveva abbattuto il Pil del 2020 dell’8,9 per cento secondo l’Istat (del 9,5 per cento secondo la Commissione europea), una vita fatta di stenti caratterizza sempre più italiani. E l’attuale congiuntura internazionale, tra l’inflazione che si spinge verso le due cifre, le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’aumento-record dei costi delle materie prime e dell’energia, accentuerà sicuramente la gravità della situazione.

Quali sono le misure attualmente in campo per combattere il fenomeno?

Il reddito di cittadinanza, la bandiera delle ricette, ideato e presentato proprio come strumento per sconfiggere la povertà, ha attenuato solo in parte la problematica. Nonostante gli ingenti fondi pubblici che richiede. I numeri confermano che è tarato male: nonostante il numero complessivo dei percettori del reddito di cittadinanza non si discosti molto da quello degli indigenti, circa la metà delle persone in povertà non lo percepisce. Come si spiega? Semplicemente perché hanno diritto al reddito le persone residenti da almeno dieci anni in Italia, quindi tanti stranieri ne restano fuori. Ma, parallelamente, numerosi giovani italiani in salute che potrebbero cercarsi un lavoro preferiscono la rendita di Stato e il dolce “non far nulla”.

A confermare la distorsione è stato lo stesso presidente della Cei, la Conferenza episcopale italiana, il cardinale Matteo Zuppi. Durante la presentazione del rapporto Caritas ha fatto appello al futuro governo ricordando che “il reddito di cittadinanza è stato percepito da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti. Quindi c’è un aggiustamento da fare ma mantenendo questo impegno in un momento in cui la povertà sarà ancora più dura, ancora più pesante e rischia di generare ancora più povertà in quelle fasce dove si oscilla nella sopravvivenza, che devono avere anche la possibilità di uscire da questa zona retrocessione”.

Insomma, occorre aiutare chi ne ha davvero bisogno. Non soltanto con il reddito di cittadinanza.

Per superare la povertà, secondo lo stesso cardinale, occorre investire seriamente sull’educazione, “che non è soltanto quella in termini tecnici, ma è anche l’investimento sulla persona, la rete di educazione che è quel famoso villaggio che almeno le nostre comunità devono rappresentare e rappresentano per chiunque”.

Anche il Papa ha manifestato le sue considerazioni, spiegando che la povertà si combatte “creando posti di lavoro”. Lo ha detto incontrando un gruppo di imprenditori spagnoli. Il Pontefice guarda ad “un’economia che riconcili tra loro i membri delle varie fasi della produzione, senza disprezzarsi a vicenda, senza creare maggiori ingiustizie o vivere una fredda indifferenza”.

Il lavoro, a cui la stessa nostra Costituzione dà priorità, resta il toccasana individuale e sociale. Favorire l’imprenditoria è la condizione necessaria perché ciò avvenga. Ricordando, come diceva Indro Montanelli, che “lo Stato dà un posto, mentre un’impresa privata dà un lavoro”.

Domenico Mamone