Divieto di cumulo tra trattamento pensionistico (Quota 100) e redditi da lavoro subordinato

Redazione
13/12/2022
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Pensionati

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 234 del 24 novembre 2022, ha dichiarato la legittimità
costituzionale dell’art. 14, comma 3, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in
materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo
2019, n. 26, nella parte in cui prevede la non cumulabilità della pensione anticipata “Quota 100”
con i redditi da lavoro, fatta eccezione per quelli da lavoro autonomo occasionale entro il limite di 5.000 euro lordi annui.

La decisione in nota si presenta di particolare interesse, non solo per gli addetti ai lavori, quanto per
i lavoratori in età pensionabile atteso che se sono vere, come credo, le anticipazioni di stampa sulle
bozze della legge di bilancio per l’anno venturo oltre ai requisiti richiesti per “Quota 103” e per
“Opzione donna” prorogata a tutto il 2023, sarà previsto il divieto di operare nel mondo del lavoro,
fino ai 67 anni, tranne che con le collaborazioni occasionali ex art. 2222 c.c. entro i limiti annuali dei
5.000 euro. Si tratta di ipotesi di pensionamento anticipato che potrebbero interessare, come si
intuisce, un numero decisamente consistente di lavoratori.

Com’è noto, il provvedimento denominato “Quota 100”, era stato istituito in forma sperimentale dal
Governo Conte 1 con il decreto-legge n. 4 del 28.1.2019 (art. 14), con vigenza per le annualità 2019-
2021.

Questo prevedeva un sistema per l’accesso alla pensione caratterizzato dalla possibilità di anticipare
l’ uscita dal lavoro al momento in cui il lavoratore abbia raggiunto l’età minima di 62 anni e 38 di
contributi.

Tale regime è stato successivamente sostituito con le legge di bilancio 2022 (l. 30 dicembre 2021, n.
234) per garantire un minimo di gradualità nel passaggio per i soggetti vicina al pensionamento,
con “Quota 102” che consente l’uscita anticipata dal lavoro a 64 anni di età e 38 di contribuzione.
Fatta questa breve premessa, sull’evoluzione normativa della materia, veniamo all’esame del caso
sottoposto all’attenzione del Giudice delle Leggi.

La Consulta era stata interessata, in sede di incidente di costituzionalità, dal Tribunale di Trento che
aveva ritenuto l’art. 14, comma 3, del D.L. n. 4/2019, in contrasto con il comma 1 dell’art. 3 della
Costituzione (principio di eguaglianza formale) in quanto, in ottemperanza allo stesso, l’INPS aveva
proceduto alla richiesta di restituzione dei ratei di pensione relativi al periodo maggio 2019-agosto
2020: con il ricorso al Tribunale il lavoratore aveva, altresì, richiesto, i ratei di pensione per il periodo
settembre – dicembre 2020, compresa la tredicesima, bloccati dall’Istituto.

Quest’ultimo aveva operato in tal modo in quanto il lavoratore, dopo il 1° maggio 2019, aveva svolto
prestazioni di lavoro intermittente, senza obbligo di disponibilità, percependo redditi per
complessivi 1.472,47 euro lordi (ben al di sotto, quindi, della somma complessiva che avrebbe
potuto raccogliere con contratti d lavoro occasionale ex art. 2222 c.c. stabilita dal Legislatore in
5.000 euro l’anno).

A tal riguardo è il caso di ricordare che, in tema di cumulabilità con i redditi da lavoro, nella circolare
n. 117 del 21 agosto 2019 l’INPS aveva precisato che:

a) i redditi non cumulabili sono quelli da lavoro dipendente , autonomo e d’impresa (comprese
associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, brevetti e diritti d’autore) collegati ad
attività lavorativa svolta nel periodo in cui vige il divieto;
b) i redditi da lavoro occasionale (ex art 2222 c.c. ) sono cumulabili fino al limite di 5000 euro annui
(al lordo delle ritenute erariali e al netto dei contributi previdenziali);
c) I compensi da lavoro autonomo occasionale vanno conteggiati in relazione all’anno di
percezione, quindi rilevano anche se vengono incassati prima della data di decorrenza della
pensione o dopo il compimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia.

I redditi che non rilevano invece sono i seguenti:

a) indennità percepite dagli amministratori locali e, più in generale, tutte le indennità comunque
connesse a cariche pubbliche elettive (cfr. Circolare n. 58 del 10 marzo 1998);
b) redditi di impresa non connessi ad attività di lavoro;
c) compensi percepiti per l’esercizio della funzione sacerdotale;
d) indennità percepite per l’esercizio della funzione di giudice di pace;
e) indennità percepite dai giudici onorari;
f) indennità percepite per l’esercizio della funzione di giudice tributari;
g) indennità sostitutiva del preavviso in quanto ha natura risarcitoria e non retributiva;
h) redditi derivanti da attività svolte nell’ambito di programmi di reinserimento degli anziani in
attività socialmente utili;
i) indennità percepite per le trasferte e missioni fuori del territorio comunale, i rimborsi per spese
di viaggio e di trasporto, spese di alloggio, spese di vitto che non concorrono a formare il reddito
imponibile ai sensi del TUIR;
j) indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale, (cfr. la circolare n. 77 del 24 maggio
2019);
k) Il cumulo con redditi vietati comporta la sospensione del pagamento della pensione.

La verifica di eventuale percezione di redditi da lavoro incumulabili con la “pensione quota 100”
avviene anche attraverso l’incrocio con i dati dell’Agenzia delle Entrate e di tutte le banche dati
disponibili.

Ebbene, secondo il giudice remittente, la norma tacciata di incostituzionalità:

a) Avrebbe introdotto una irragionevole disparità di trattamento tra chi svolge prestazioni
occasionali ex art 2222 c.c., con compensi fino a 5.000 euro e chi, pur essendo pensionato, svolge
un’attività di lavoro dipendente “non stabile” con un rapporto che si attiva con la “chiamata” del
datore di lavoro e dalla quale trae un reddito ben al di sotto della soglia dei 5.000 euro.

L’ingiustificata disparità di trattamento discende dal fatto che il collaboratore conserva il diritto alla pensione nell’anno solare, mentre il lavoratore intermittente, pur avendo “guadagnato” una somma
inferiore, lo perde;

b) Avrebbe violato l’art. 38, comma 2 C. a mente del quale: “I lavoratori hanno diritto che siano
preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria” (principio della sicurezza sociale) in quanto, a
fronte della percezione di redditi da lavoro di entità esigua, la decurtazione del trattamento
pensionistico è intervenuta per l’intero anno solare;

c) Sarebbe in contrasto con gli articoli 4 e 36, comma 1 che sanciscono rispettivamente il principio
lavorista, secondo il quale il lavoro rappresenta un valore centrale dell’ordinamento, oltre ad un fine
ben preciso cui deve aspirare la legislazione, indirizzata verso la massima occupazione e il principio
della giusta retribuzione secondo il quale vi deve essere proporzione tra retribuzione e quantità e
qualità del lavoro prestato e secondo cui la retribuzione deve essere, in ogni caso, sufficiente ad
assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Ciò in quanto il sacrificio imposto al pensionato sarebbe sproporzionato ed irragionevole e
limiterebbe il diritto al lavoro.

Il ricorrente, ricorda il Tribunale di Trento, ha altresì prospettato una lettura costituzionalmente
orientata del divieto di cumulo, sostenendo che l’INPS avrebbe dovuto, soltanto, procedere alla
decurtazione del trattamento pensionistico, in misura equivalente ai redditi da lavoro dipendente
percepiti.

Tuttavia, la risposta della Consulta è stata drastica, non riconoscendo fondata la questione di
legittimità costituzionale.
In estrema sintesi, l’impianto motivazionale, può essere così compendiato.

In ragione della diversità delle situazioni lavorative poste a raffronto, si deve escludere che sia
costituzionalmente illegittimo il difforme trattamento riservato, ai fini del divieto di cumulo con la
pensione anticipata a “quota 100”, ai redditi da esse derivanti. L’assenza di omogeneità fra le
prestazioni di lavoro qui esaminate porta alla conclusione che non è violato il principio di
eguaglianza.

La scelta del legislatore, volta a diversificare il trattamento previsto per il divieto di cumulo, non
risulta costituzionalmente illegittima neppure considerando la sproporzione che può in concreto
determinarsi – come nella fattispecie oggetto del giudizio principale – fra l’entità dei redditi da
lavoro percepiti dal pensionato che ha usufruito della cosiddetta “quota 100” e i ratei di pensione la
cui erogazione è sospesa.

Non si può non considerare l’eccezionalità della misura pensionistica in esame, che ha consentito,
per il triennio 2019-2021, il ritiro dal lavoro all’età di 62 anni, con un’anzianità contributiva di
almeno 38 anni, senza penalizzazioni nel calcolo della rendita.

Nell’adottare una disciplina sperimentale, il legislatore ha configurato un regime di quiescenza
disciplinato da regole molto più favorevoli rispetto al sistema ordinario.

La prevista sospensione del trattamento di quiescenza in caso di violazione del divieto di cumulo è,
per l’appunto, rivolta a garantire un’effettiva uscita del pensionato che ha raggiunto la cosiddetta
“quota 100” dal mercato del lavoro, anche al fine di creare nuova occupazione e favorire il ricambio
generazionale, all’interno di un sistema previdenziale sostenibile.

Nel regime ora descritto, la percezione da parte del pensionato di redditi da lavoro, qualunque ne
sia l’entità, costituisce elemento fattuale che contraddice il presupposto richiesto dal legislatore per
usufruire di tale favorevole trattamento pensionistico anticipato e mette a rischio l’obiettivo
occupazionale.

Anche in questa prospettiva, l’assenza di omogeneità fra le situazioni lavorative poste a raffronto dal
rimettente risulta decisiva per escludere la fondatezza della questione.

Il lavoro autonomo occasionale, per la sua natura residuale, non incide in modo diretto e
significativo sulle dinamiche occupazionali, né su quelle previdenziali e si differenzia per questo dal
lavoro subordinato, sia pure nella modalità flessibile del lavoro intermittente.

In estrema sintesi la questione d’incostituzionalità è legata all’articolo 3, comma 1, della
Costituzione per una disparità di trattamento data dal fatto che il pensionato che dovesse svolgere
attività lavorativa autonoma occasionale non si troverebbe nella medesima situazione di un
pensionato che dovesse svolgere attività con contratto intermittente.

La Corte Costituzionale ha chiarito che la questione di illegittimità costituzionale non è fondata dal
momento che le due situazioni non sono comparabili tra loro.

Difatti, il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro lordi annui non dà luogo all’obbligo
contributivo e, dunque, la preclusione assoluta di svolgere lavoro subordinato, imposta da Quota
100, ma anche da Quota 102, trova la propria ragion d’essere nella richiesta di una uscita anticipata
dal mondo del lavoro, rispetto alla pensione di vecchiaia o alla pensione anticipata ordinaria, che
risulta in chiara contraddizione con la prosecuzione di un’attività lavorativa successivamente
all’accesso alla pensione in Quota 100.

E’ il caso di osservare che, tale divieto di cumulo, potrà trovare spazio anche nelle nuove misure di
anticipazione a pensione al vaglio del nuovo esecutivo che potrà, a questo punto, confidare sulla
tenuta costituzionale del divieto replicando quello del D.l. n. 4/2019 senza particolari criticità.

GIUSEPPE MOSA
(Avvocato – Consulente di imprese, Organizzazioni sindacali ed Enti pubblici)

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