Circa la metà degli occupati insoddisfatti del posto di lavoro

Giampiero Castellotti
25/01/2024
Tempo di lettura: 4 minuti
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Poca soddisfazione al lavoro, voglia di cambiare per migliorare la propria condizione economica e crescere professionalmente, questo il panorama che emerge dai lavoratori italiani. InfoJobs, la piattaforma leader in Italia per la ricerca di lavoro online, delinea le tendenze nell’indagine “Upskilling e Reskilling” [1]  realizzata per capire come sta evolvendo lo scenario del lavoro guardando soprattutto alla soddisfazione e all’approccio dei lavoratori, tra la volontà di crescere in azienda o affrontare nuove sfide professionali.  

L’indagine, che analizza il desiderio di assumere più competenze (upskilling) e la volontà di acquisirne di nuove per cambiare ruolo (reskilling), rivela come gli italiani vivano con più frequenza colpi di fulmine e passioni temporanee per l’azienda in cui lavorano. 

Innanzitutto, il 48,6% dei candidati intervistati non è appagato dal lavoro attuale e si sta guardando intorno alla ricerca di una nuova occasione professionalecapace di colmare il vuoto di soddisfazione attuale. Il 27%, pur non essendo così felice, è titubante nell’intraprendere invece nuovi percorsi e si prende tempo, riflettendo sul valore dei rapporti umani instaurati e spera in un cambiamento migliorativo nella realtà in cui è inserito, seguito da chi ama il proprio ambiente lavorativo (24,4%) e ha voglia di continuare a crescere in quel contesto. 

Ma quali sono i fattori che influenzano la scelta tra restare e andare? E cosa hanno fatto le aziende? 

Al primo posto la possibilità di avanzamento di carriera e la realizzazione degli obiettivi professionali (38,8%), seguiti da motivi economici o contrattuali (37,7%) e dalle relazioni con capi e colleghi (12,8%). A sorpresa, rispetto a numerose analisi su smart working e good life balance, la distanza casa-lavoro sembra essere un fattore poco determinante (8%). 

Le aziende italiane però, secondo i dipendenti, non sembrano avere messo in atto negli utlimi 6 mesi azioni concrete per trattenere i talenti. Secondo il 71,2% dei rispondenti la loro azienda non ha messo in campo azioni concrete per trattenere i talenti. Sembrano essere una minoranza i lavoratori che hanno beneficiato di leve importanti di retention come gli aumenti di salario e i benefit (importanti per il 12% degli intervistati), la formazione (7,5%), il lavoro ibrido e la flessibilità oraria (6,8%) e i percorsi di carriera chiari e strutturati (2,4%).  

Quali sono invece le leve motivazionali per rimanere in azienda?  

L’upskilling può essere un incentivo per trattenere i talenti perché significa credere nel dipendente e investire per la sua formazione e per la sua crescita (47,7%). Meno percepito quale leva per evitare la fuga dall’azienda è il reskilling visto solo dal 22,3% dei rispondenti quale ventata di novità. Tuttavia, per il 30% dei candidati, quando la decisione di lasciare l’attuale posto di lavoro è presa, non ci sono argomenti validi per far cambiare idea a un lavoratore. 

Rispetto alle azioni concrete che un’azienda può mettere in campo per trattenere i suoi talenti, le più valide sembrano essere i bonus economici (36,8%), al secondo posto (30,6%) le maggiori responsabilità che stimolano il dipendente a sentirsi direttamente coinvolto nel raggiungimento degli obiettivi, al terzo posto i percorsi di carriera chiari, formazione gratuita e percorsi di mentoring (27,3%). Il lavoro ibrido è quasi al pari dell’ottenimento di benefit (21% vs 20,7%).  

Infine, ma non meno importante, il dialogo si conferma un elemento essenziale per costruire buoni rapporti al lavoro; il confronto fra pari, fra capo e riporti, e con le risorse umane, sono parti fondamentali del lavoro in azienda oltre che momenti utili per condividere opinioni e restituire commenti costruttivi sull’operato. Tuttavia, la cultura del feedback è percepita dal solo 17,2% come un modo indispensabile per lavorare bene e per favorire il raggiungimento degli obiettivi aziendali indipendentemente dall’età. E se un timido 7,5% la vive nella propria azienda e crede che la sua percezione differisca in base all’età, per il 30,2% non è un qualcosa a cui viene dato il giusto valore. Per altri (19,1%) non funziona perché spesso il feedback diviene una critica non costruttiva e da aiuto volto a migliorare assume la caratteristica di eccessivo controllo sull’operato.  


[1] Indagine svolta a fine 2023 da InfoJobs su un campione di 158 aziende attive in piattaforma in tutta Italia e 1.316 candidati, dai 18 anni in su. 

Giampiero Castellotti