Ci mancava la crisi nel Mar Rosso

Domenico Mamone
22/01/2024
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A quanto sta avvenendo nel Mar Rosso, con gli attacchi dei ribelli Houthi alle navi in transito nel canale di Suez, gli organi d’informazione non stanno dedicando lo spazio consono. Si preferiscono le solite beghe pre-elettorali per le regioni o per l’Europa anziché focalizzarsi su una situazione esplosiva. Infatti le drammatiche ripercussioni, soprattutto economiche, le avvertiremo a breve. Le navi container piene di generi alimentari e non solo, che hanno sempre transitato per il canale di Suez per raggiungere i porti europei, sono ora costrette a spingersi verso il capo di Buona Speranza, impiegandoci anche due settimane di più. Ciò significa aumento vertiginoso dei costi che avranno una ricaduta tra qualche settimana nei nostri negozi. Secondo il Shanghai Containerized Freight index, trasportare un container dall’Asia all’Europa costa il 92 per cento in più.

Oltre ai generi alimentari, aumenti di prezzo sono previsti per piccoli e grandi elettrodomestici, ma anche per la telefonia e l’abbigliamento provenienti per lo più dalla Cina.

Secondo Bankitalia le conseguenze sugli approvvigionamenti saranno peggiori di quelli dei lockdown del periodo Covid. E c’è il rischio di un nuovo tsunami sull’inflazione globale. A ciò si aggiunge il problema del petrolio che partiva dal mondo arabo utilizzando il canale di Suez: il rischio del rialzo del prezzo della benzina è concreto. Nel canale di Suez il traffico s’è già dimezzato (dati Redsea Kiel institute).

Occorre prendere atto che anche l’export italiano subirà un contraccolpo da questa situazione. Quindi c’è da attendersi conseguenze negative per i beni di lusso, la moda e i prodotti alimentari.

Come spiega il Centro studi di Confindustria, le rotte marine sono fondamentali per i commerci: via mare si realizza il 90 per cento dei volumi degli scambi mondiali. Circa il 40 per cento dei prodotti che giunge in Italia transita nel canale di Suez. E Bankitalia ricorda che dalla navigabilità del canale di Suez dipendono il 30 per cento delle merci importate nel nostro Paese e il 7 per cento di quanto esportano nel mondo le aziende del “made in Italy”.

Bankitalia ha già tagliato le stime sul nostro Pil: crescita dello 0,6 per cento per il 2024 e dell’1,1 per cento per il 2025 e il 2026. Purtroppo una prospettiva che può solo peggiorare.

Domenico Mamone