Censis: record di occupati, ma mancano i giovani

Giampiero Castellotti
27/01/2024
Tempo di lettura: 4 minuti
Lavoro 3

Mai così tanti occupati, ma la popolazione lavorativa italiana invecchia sempre di più. In questa fase definita post-Covid, in cui la pandemia ha costituito un momento di trasformazione, registriamo una prolungata fase di crescita che non sembra arrestarsi: al crollo dell’occupazione fra gennaio 2020 e luglio 2020 che ha sfiorato il milione di addetti (-937.000), è seguito un progressivo aumento del volume degli occupati che da luglio 2020 a novembre 2023 è passato da poco più di 22 milioni a oltre 23 milioni e 700mila, raggiungendo il livello più alto mai registrato in Italia.  

Questi sono i numeri riportati nel Rapporto «Il senso del lavoro nella comunità produttiva e urbana di Bologna», realizzato dal Censis con la collaborazione di Philip Morris, che analizza la fase attuale dell’occupazione in Italia alla luce della percezione del lavoro, a livello nazionale, locale (in particolare dell’area del bolognese) e aziendale.

Il lavoro che invecchia. Fra il terzo trimestre 2022 e il terzo trimestre 2023, l’occupazione in Italia è aumentata di 470mila unità: tutti gli indicatori che riguardano le componenti dell’occupazione mostrano un segno positivo (occupazione dipendente e occupazione indipendente), mentre il solo segno negativo è riconducibile a contratti di lavoro a termine, che si riducono in dodici mesi di 89mila unità (-2,9%). D’altra parte, però, nel giro di dieci anni – fra il 2012 e il 2022 – la base occupazionale formata da giovani con un’età compresa fra i 15 e i 34 anni si è ridotta di circa 360mila unità (188mila sono riconducibili al Mezzogiorno), mentre i lavoratori con almeno 50 anni di età sono aumentati di 2,7 milioni. Inoltre, la mancata partecipazione al mercato del lavoro conta oggi 12 milioni e 434mila persone (quasi otto milioni sono donne) che, pur essendo in età lavorativa, non lavorano e non sono alla ricerca di un lavoro: quasi dieci italiani su cento dichiarano di non partecipare al mercato del lavoro perché scoraggiati dagli esiti negativi della ricerca di un lavoro (prevalentemente donne).

Lavorare per vivere (e non vivere per lavorare). I tre quarti degli italiani (il 76,1%) condividono l’affermazione secondo la quale in Italia il lavoro c’è, ma si tratta di un lavoro poco qualificato e sottopagato. Il 76,2% dei giovani sono convinti che un impegno aggiuntivo di un’ora di lavoro deve avere un compenso tale da giustificare la rinuncia a un’ora di tempo libero e l’80% degli italiani occupati vede nel lavoro un fattore che, soprattutto in passato, ha portato a trascurare gli interessi personali, tanto da porre il proprio benessere in secondo piano (lo pensa anche il 79,8% dei più giovani e l’80,8% nella classe dei 35-64enni). Fra chi è oggi alla ricerca di un nuovo lavoro, il 36,2% indica come motivazione principale quella di ottenere un guadagno più elevato rispetto a quello corrente; il 36,1% afferma invece che la ricerca di un nuovo lavoro è stimolata dalla necessità di vedere riconosciuto il livello di competenze acquisito insieme a una maggiore prospettiva di carriera.

Il senso del lavoro. Nell’ambito della ricerca è stata condotta un’indagine presso i dipendenti di Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna per analizzare quale sia il senso del lavoro all’interno delle dinamiche aziendali. Il profilo di ciò che rappresenta il lavoro per i dipendenti può essere evidenziato attraverso tre elementi essenziali: il lavoro come diritto, ma anche come contributo personale a qualcosa che supera i confini del posto di lavoro e trova un riscontro anche nella collettività (lo afferma un dipendente su quattro); il lavoro come fattore di indipendenza (43,2%), con particolare rilevanza per la componente femminile dell’occupazione (57,6%); il lavoro come fattore di sicurezza economica (41,1%), che possa però essere svolto in un ambiente lavorativo meritocratico (48,6%). Più trasversalmente, l’indagine ha poi portato a riflettere sul concetto di lavoro «ben fatto»: il 46,9% dei dipendenti definisce «ben fatto» un lavoro completo in ogni suo dettaglio (24,5%), per il 22,5% invece lo è se svolto con passione e creatività oltre quanto richiesto.

Giampiero Castellotti