Utili alle stelle per le società petrolifere

Domenico Mamone
11/02/2023
Tempo di lettura: 4 minuti
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Da quando i prezzi dei prodotti energetici e petroliferi sono andati alle stelle, in particolare a causa della guerra in Ucraina, generando a pioggia tutta una serie di rincari, molti leader politici in tutta Europa, Italia compresa, hanno proposto di tassare coloro che hanno accumulato i maggiori guadagni da tale situazione: le multinazionali del petrolio e dell’energia.

Nonostante i costi stabili per l’estrazione, la raffinazione e la vendita, i rincari della materia prima hanno alimentato business mai visti prima.

Non a caso le dichiarazioni pubbliche di molti politici hanno preso di mira gli extra profitti delle multinazionali del settore, promettendo di tassarle, con la cosiddetta windfall tax, per alleviare l’impatto sui consumatori.

C’è chi l’ha fatto in misura più o meno rilevante e chi l’ha evitato.

L’Italia, con il governo Draghi, ha stabilito la tassa a marzo 2022, prevedendo un una tantum del 25 per cento sugli utili extra delle aziende del settore energia, gas e petrolio.

“Il ministero dell’Economia contava di incassare dalla misura 10,5 miliardi di euro lo scorso anno, ma poi, per una serie di ragioni legate anche alla difficoltà di calcolo di quanto dovuto, le aziende hanno preferito non pagare contando sull’incostituzionalità della norma, e lo Stato ha incassato poco più di un miliardo”, racconta Il Post.

Il governo attuale ha deciso di aumentare la tassa dal 25 al 50 per cento e vedremo come andrà a finire. Perché non mancano rischi legali: ad esempio, la società americana ExxonMobil, il maggior fornitore europeo di petrolio, ha fatto causa all’Unione europea contro il “contributo di solidarietà” richiesto: in sostanza, secondo i vertici dell’azienda, una tassa sugli extra profitti scoraggerebbe gli investimenti. Tassare in uno Stato, in effetti, potrebbe generare disinvestimenti in loco e far spostare interessi e sedi fiscali altrove.

Di certo, si parla sempre di inezie rispetto ai guadagni che i colossi dell’energia hanno raggiunto nel 2022.

In base alle stime di Reuters, i profitti – cioè i guadagni e non i fatturati – delle più grandi società energetiche occidentali (Bp, Chevron, ExxonMobil, Shell, TotalEnergies) hanno superato i 200 miliardi di dollari nel 2022. Una cifra enorme, con lauti dividendi agli azionisti.

La maggior parte di queste aziende ha raddoppiato gli utili, toccando la punta massima nella loro storia: ad esempio, il gruppo americano ExxonMobil è arrivato a 55,7 miliardi, quasi triplicando i profitti rispetto all’anno precedente, mentre Shell ha raggiunto i 39,9 miliardi di dollari, il doppio rispetto al 2021, così come Bp, che lo scorso anno ha sfiorato i 28 miliardi di dollari di utili. Anche ad Eni non è andata male: nei primi nove mesi del 2022 ha registrato utili per 10,8 miliardi, il 311 per cento in più rispetto agli stessi mesi del 2021, mentre il terzo trimestre del 2022 è stato chiuso con utile netto di 3,73 miliardi di euro, in aumento del 161 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. In totale quasi 15 miliardi di utili in un anno.

Le previsioni per questo 2023 quantizzano in 158 miliardi i guadagni globali delle multinazionali del settore, una cifra certamente inferiore a quella del 2022, ma ben superiore a quella del 2021.

Occorre tenere presente che i grandi guadagni del 2022 hanno compensato le restrizioni del periodo pandemico, quando soprattutto il crollo degli spostamenti ha ridotto notevolmente i consumi. Con differenze enormi nei prezzi dei dollari al barile: se all’inizio della pandemia, cioè nella primavera del 2020, il petrolio viaggiava intorno ai 20 dollari, negli ultimi tempi si è assestato a 80 dollari dopo aver toccato picchi di oltre i cento.

Attualmente le quotazioni del petrolio sono scese rispetto allo scorso anno, tuttavia si teme che l’embargo europeo al petrolio russo raffinato, iniziato da pochi giorni, potrebbe far rincarare di nuovo i prezzi.

Domenico Mamone