In attesa dell’insediamento del presidente Donald Trump, previsto come da prassi per il presidente eletto, a gennaio, ci si continua a chiedere l’effettiva democraticità del sistema elettorale americano.
Per quanto riguarda l’eleggibilità del candidato, questo deve avere minimo 35 anni, essere cittadino nato negli Stati Uniti e residente da un minimo di 14 anni. Il processo elettorale inizia con le primarie, in cui i membri di ciascun partito eleggono il candidato più adeguato per rappresentarli e dunque per diventare presidente. La decisione finale viene poi presa durante la National Convention (Convenzione Nazionale). Successivamente ha inizio la campagna elettorale, in cui i candidati cercano di ottenere il consenso popolare.
È in questo passaggio che arrivano le critiche al sistema elettorale degli Stati Uniti. Secondo la legge statunitense i cittadini di ciascuno stato votano il candidato da loro preferito e una volta chiuse le urne saranno i cosiddetti Grandi Elettori a riportare il voto al Collegio elettorale. Ogni Stato ha infatti un determinato numero di cosiddetti “Elettori”, che si occupano di riportare la decisione di ciascuno stato votando a loro volta per il presidente. Per determinare quale candidato voteranno gli elettori, in 48 Stati vige il sistema maggioritario puro: il candidato che ottiene la maggioranza relativa, anche di un solo voto, guadagna tutti i voti in palio attribuiti lo Stato, secondo il principio chiamato winner take all (il vincitore prende tutto). Il Nebraska e il Maine seguono invece un sistema misto maggioritario/proporzionale e il candidato che vince non guadagna tutti i grandi elettori.
Le critiche giungono circa la legittimità o meno di avere questi intermediari tra popolazione e Governo. Jesse Wegman, autrice del libro “Let the People Pick the President” ritiene che la vera democrazia rappresentativa debba basarsi sull’idea di un voto per ogni persona. Un’ulteriore critica al Collegio Elettorale, secondo quanto detto da Gautam Mukunda, scienziato politico della Harvard University risiede nel modo in cui gli Elettori sono ripartiti tra i vari stati, il che si basa sulla rappresentanza di ciascuno Stato nella Camera e nel Senato: considerando che ad ognuno di questi, anche al più piccolo e meno popoloso, spettano 2 senatori, è facile comprendere come la loro ripartizione non sia ben proporzionata. I 689.545 cittadini del Distretto di Columbia (dati del 2020), per fare un esempio, eleggono tre elettori, ossia lo stesso numero di quelli assegnati allo Stato del Delaware, dove vivono 989.948 abitanti (censimento del 2020). Sebbene la Costituzione non richieda agli elettori di votare per il candidato scelto dal voto popolare del loro stato, le leggi di alcuni stati lo fanno e colui il quale vota per qualcun altro può essere multato, squalificato e sostituito da un elettore sostituto.
La maggioranza delle critiche sorge a causa del sistema maggioritario puro, in cui vince il candidato che ottiene 270 voti dei 538 totali del collegio, il che non garantisce che sia eletto il presidente che ottiene il maggior numero di voti provenienti dai cittadini. Fino ad oggi questo scenario si è verificato cinque volte, l’ultima delle quali nel 2016, quando Donald Trump sconfisse la sua avversaria, Hillary Clinton, pur avendo ottenuto circa tre milioni di voti popolari in meno dai cittadini, prima di allora nel 2000 George W. Bush fu proclamato presidente sebbene il voto popolare avesse espresso la propria preferenza nei confronti dell’avversario Albert Gore, nel 1888 Harrison succedette Grover Cleveland, impedendogli un secondo mandato, nella medesima modalità verificatasi anche nel 1876 e nel 1824.
FONTI
https://www.archives.gov/electoral-college/electors
https://www.census.gov/quickfacts/fact/table/DE,districtofcolumbiadistrictofcolumbia,DC/POP010220