Nutrire in modo sostenibile 9 miliardi di persone. È la sfida principale per la sopravvivenza dell’umanità, che non può che vedere tutti gli Stati unirsi per raggiungere un obiettivo comune, prima che sia troppo tardi. Perché, mentre la popolazione mondiale cresce ogni giorno di più – la soglia degli 8 miliardi di persone sulla Terra è stata superata alla fine del 2022 e quella dei 9 miliardi, secondo l’Onu e i modelli statistici più accreditati, verrà raggiunta nel 2037, fino a toccare la soglia dei 9,7 miliardi nel 2050, È chiaro che l’obiettivo non può essere perseguito con i modelli agricoli e dell’allevamento tradizionali. Per diversi motivi.
Il primo: l’agricoltura è tra i maggiori responsabili del «global warming», emettendo più gas serra di auto, camion, treni e aerei considerati complessivamente, rilasciando ossido di azoto dai fertilizzanti. L’allevamento non è da meno, considerando le emissioni di metano e l’utilizzo di acqua (e l’inquinamento dell’«oro blu»).
Inoltre, l’agricoltura estensiva è tra i maggiori responsabili della perdita della biodiversità, senza contare le emissioni di ossido di azoto generate dal taglio delle foreste pluviali per far spazio a allevamenti e campi da coltivare: una pratica da bloccare subito, perché i danni causati sono molto maggiori dei benefici.
Quello che serve, al contrario, è aumentare la resa delle aziende agricole esistenti: se i campi statunitensi, canadesi e australiani sono estremamente produttivi, in Africa, America Latina e Est Europa c’è molta strada da fare. Ed è qui che si può intervenire in modo massiccio per rivoluzionare l’agricoltura mondiale e far sì che i 9 miliardi di persone che vivranno sulla Terra tra pochi anni possano sfamarsi in modo sano e sostenibile. Un ruolo che anche l’Italia può vivere da grande protagonista.
L’unica alternativa è sviluppare un’offerta di proteine vegetali, utilizzando in modo massiccio quelle derivate dal grano, dalla soia, dalla carruba, dai piselli e in generale dai legumi, le cui proteine hanno un minor contenuto di grassi, un indice glicemico basso e danno un maggior senso di sazietà rispetto a quelle animali. Una sfida che unisce agricoltura e ricerca applicata, ma che al contempo deve guardare alla sua sostenibilità anche economica: non si può pensare di vendere prodotti a base di proteine vegetali vendendoli a prezzi uguali (se non maggiori) rispetto ai tagli di carne pregiati che provengono dagli allevamenti. Il mercato deve riuscire a proporre «finti polli» che costano poco, perché se è vero che il 90% della popolazione mondiale vive al di sopra della soglia di povertà estrema, lo è altrettanto che esistano ampi strati di povertà diffusa (anche in Occidente), con milioni di persone che faticano a far quadrare i conti e che non possono permettersi di spendere troppo per prodotti alternativi alla carne.
L’agricoltura mondiale deve essere capace di unirsi, creando un sistema interrelato tra gli Stati, inseriti all’interno di una filiera internazionale che deve valorizzare le caratteristiche di ogni singolo Paese, inserito all’interno di un progetto organico non più rinviabile: le colture intensive, l’allevamento coerente, la produzione cerealicola vanno sempre considerati inseriti in questo contesto ineludibile per ogni governo e per ogni regolatore, rendendo impossibile l’arroccamento su posizioni autarchiche.
Una strada che passa anche dalla conversione a «bio» di tutta la produzione agricola del Paese, un passaggio che – vista l’inferiore redditività dei campi italiani rispetto, ad esempio, a quelli del Nord America – costerebbe meno rispetto ai concorrenti. Se l’Italia assumesse questa caratteristica, riconoscibile in tutto il mondo, produttori e commercianti farebbero a gara per ottenere i suoi prodotti, con un notevole vantaggio competitivo. Ma è necessario che il governo aiuti finanziariamente questa conversione, in un patto con gli agricoltori e le associazioni che li rappresentano e per far sentire la propria voce in Europa che, a modesto avviso di chi scrive, conosce benissimo le esigenze degli agricoltori del Nord del Vecchio Continente ma potrebbe conoscere meglio quelle del settore primario italiano.
(Luigi Consiglio – CEO Eccellenze d’Impresa – Abstract by Festival del Futuro)