L’ultima notizia fa parte di un’ormai infinita serie da “noir” sull’argomento. Una tribolata avventura iniziata a maggio 2020 con il cosiddetto “Decreto Rilancio” (n. 34/2020), che con gli articoli 119 e 121 ha dato il via al Superbonus 110%. In apparenza, più di una boccata d’ossigeno per la filiera delle costruzioni. E non solo. I bonus, in genere, concorrono a spingere l’economia, ad aumentare l’occupazione, a combattere nel caso specifico un po’ di sommerso in un settore, l’edilizia, che da sempre ne è contraddistinto. Favoriscono un indotto fatto di trasporti, logistica, ospitalità, ristorazione, ecc., insomma tutto ciò che fa parte di un cantiere. E lo stesso Stato incassa più contributi Inps, Inail, Iva, Irap, Irpef, ecc. Le amministrazioni locali fanno cassa con le pratiche burocratiche, i diritti di segreteria, gli oneri di suolo pubblico, le mappe catastali da sistemare o rifare. Ovviamente non manca la ricca fetta di torta anche per le banche.
C’è un altro aspetto importante legato al Superbonus 110%, quello formativo: l’iniziativa pone al centro la transizione ecologica, mettendo i cittadini di fronte a scelte personali e concrete di riqualificazione energetica.
Peccato, però, che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Soprattutto quello della burocrazia. Così diventa più facile incagliarsi che navigare in un mare sicuro. Ed occorre costantemente correre ai ripari.
La più recente notizia, appunto, cioè l’ultimo tassello di un illimitato mosaico, è rappresentata da un nuovo emendamento al decreto “Aiuti” con cui il governo allarga le maglie del Superbonus 110%. Prevede, infatti, l’ampliamento della platea dei soggetti destinatari della cessione del credito. Grazie alla norma, le banche o le società appartenenti a gruppi bancari potranno cedere il credito a soggetti diversi dai consumatori o utenti retail, che “abbiano stipulato un contratto di conto corrente con la stessa banca cedente”. Insomma, un’estensione, ma con l’ennesimo favore nemmeno troppo celato agli istituti bancari, molti dei quali già oggi con il 110% in realtà scontano tra il 94 e il 96 per cento.
È proprio la cessione del credito fiscale generato dall’intervento di efficientamento ad essere uno dei punti più controversi della materia. Oggetto, tra l’altro, delle numerose frodi di cui dà conto la sempre variopinta cronaca italiana. E dei continui stop nei cantieri.
IL GRANDE PASTICCIO – Pur partendo da buoni propositi, perlomeno sul tema dell’efficientamento energetico, il Superbonus 110% si sta rivelando un grande pastrocchio “all’italiana”. Soprattutto sul fronte dei lavori condominiali. Grazie alla proposta decisamente stimolante per le tasche dei consumatori (e degli amministratori di condominio, con il loro entourage), della serie “tutto gratis” (ma non è così), si sta verificando un eccesso di commesse e di stimolazione nel mercato principalmente per realtà condominiali in procinto di fare comunque dei lavori di riqualificazione nei propri stabili (facciate, terrazzi, caldaie, ecc.). Una pioggia di richieste e di crediti da gestire, con la conseguenza di esaurire i plafond e la liquidità, ma anche di rendere schizofrenico e alterato il mercato dei materiali edili: ad esempio, è sempre più difficile reperire ponteggi.
Oltre alla dimensione collettiva condominiale, tanti cittadini stanno usufruendo singolarmente dei lavori cosiddetti “trainati”, cioè sostituzione di infissi e avvolgibili, caldaie, condizionatori e altro a livello individuale. Un restyling apparentemente come “regalo pubblico”, ma troppo spesso con sorpresa finale quando le cose non vanno come dovrebbero. E ciò sta ulteriormente ingarbugliando la matassa.
A tutto questo, come se non bastasse, si aggiungono le continue modifiche normative, le rettifiche, gli “assetti”, gli allineamenti che rendono ancora più contorta la materia. Nelle riunioni condominiali è un coro di “non ho capito nulla” anche di fronte alle spiegazioni – in verità non sempre convinte – di amministratori e tecnici. E si rimane tutti con il fiato sospeso di fronte ai continui tira e molla e alle notizie spesso contraddittorie o addirittura prive di fondamento che riportano i giornali, anche quelli più qualificati.
L’Agenzia delle Entrate, uno degli attori della vicenda, da mesi è subissata di quesiti di ogni sorta e deve continuamente “aggiustare il tiro”.
CREDITI “INCAGLIATI” – Il nodo di tutto questo castello, costituito soprattutto di incartamenti e di confusione, è principalmente rappresentato dai troppi crediti “incagliati”. La conseguenza è che molte aziende e professionisti (in primis gli architetti, con i loro progetti e studi di fattibilità), che hanno investito tempo, risorse e, soprattutto denaro in tale apparente opportunità, senza liquidità stanno precipitando nel baratro: Confartigianato, che ha lanciato l’allarme sulla tenuta del settore edile, segnala che sono 5,2 miliardi i crediti “incagliati” nei cassetti fiscali. Le imprese avranno un costo in termini di posti di lavoro, con la perdita di circa 47 mila addetti presso piccole e medie imprese. Insomma, se i bonus edilizi costituiscono nelle intenzioni un sostegno al settore dell’edilizia, si stanno in realtà rivelando un boomerang.
Con cantieri bloccati, altri che non partiranno, opere incompiute, lavori eseguiti e non pagati il rischio concreto è una quantità innumerevole di cause che dureranno anni. “All’italiana”, appunto.
(Domenico Mamone)