“Rock the kitchen”, succulente pagine di cucina underground

Giampiero Castellotti
10/12/2022
Tempo di lettura: 9 minuti
Rockthekitchen

Una storia biografica che meritava assolutamente di essere raccontata. Conni Colavecchio, stile letterario sarcastico e brillante, non c’ha pensato due volte a trasformare in un racconto appassionato l’avventura esistenziale del suo amico Andy Shakty Misseri, vita randagia a zonzo per quattro continenti, tra sfide culinarie, contagi musicali e destini inevitabili. Di quelli che lasciano il segno.

Il protagonista, nomade già nei cromosomi ereditati da padre marinaio, madre inglese cultrice di cucina internazionale e nonna profuga dall’Africa e stanziale al Tufello, il quartiere dov’è nato Gigi Proietti per intenderci, è immerso sin da piccolo nell’arte culinaria. Gli studi, manco a specificarlo, sono al liceo dell’alimentazione nel Ghetto romano. Qui “i carciofi non sono solo alla giudia, ci sono anche quelli di erba che si condividono in classe con alcuni supplenti”. E sfoggiare un impermeabile usato dai pompieri tedeschi equivale a farsi insultare dalle anziane ebree segnate dalle deportazioni e dai numeri di matricola impressi sulle braccia. Verità alla Catalano: “Le divise tedesche, anche quelle dei pompieri, non piacciono…”.

Il diploma in tasca prende aria di mare: Andy s’impratichisce con i fornelli da “Schiano”, prestigioso ristorante del litorale laziale. Qui serve la stessa mousse di pesce al jet set capitolino e ai boss della Magliana. Del resto il confine tra i due mondi è fievole.

Sono gli anni dove si cresce e ci si fortifica nelle bische, come quella del Sor Gianni in piazza dei Sanniti a San Lorenzo, oggi il noto “occupatissimo” Cinema Palazzo. O del Buco der Zagaja sulla spiaggia gay naturista di Capocotta, “erre moscia” a volontà. È la saga degli estratti di carne e dei dadi da brodo infilati dappertutto, anche nel Villaggio Tognazzi, che naturalmente Andy frequenta con assiduità. È l’era del cinghiale bianco, ma anche dell’avanguardistica Idrolitina o del rivoluzionario shampoo Campus alla mela verde. O dell’Ovomaltina, “prototipo di smart drug anni Ottanta”.

Andy è un gastro-innovatore nato. Lancia bucatini allo zighinì, propone cozze all’arrabbiata, concede penne alla marijuana. Il libro riporta puntualmente e nel dettaglio queste ed altre stravaganti ricette ad ogni loro citazione.

Ma Torvajanica è decisamente poco sensibile all’eclettismo dei fornelli. Posto più da seconde case di amministratori di condominio che non di gourmet. Ecco allora il nostro eroe, rigorosamente in chiodo rosso, catapultarsi nella Parigi dei ristoranti tunisini e delle bettole vietnamite, tra punk e look alla Billy Idol, sogno di ogni acconciatore alternativo. Poi Londra, ancora punk che sniffano colla, vecchi frikkettoni che ballano anche quando non c’è la musica, ragazze in bikini che prendono il sole, concerti con fan in preda al delirio tra schitarrate e hot dog. Qui Andy s’inventa cene a base di cibo rubato nei supermercati, perfezionamento delle “spese proletarie” degli anni Settanta.

Con un’ormai buona padronanza di stravaganti vivande e band psichedeliche, il volo oltreoceano è d’obbligo. Los Angeles prima. E poi il Messico degli altipiani, per “ritrovarsi sopra le nuvole”. Accatastando le prime importanti avventure.

Eccolo, da solo, di notte, con i fuochi accesi per tenere lontani i coyote. La frequentazione dei trafficanti di droga. I treni pieni di indios, campesinos, personaggi loschi che giocano a carte e gringos. La ricerca di piatti al cactus peyote, tra tacos, frutta “che sembra di stare in Sicilia”, ceviche ed enormi uccelli – aquile e falchi – che evocano lo spirito dello scrittore peruviano Carlos Castañeda.

Per tutto questo, il ruolo di mascotte testimone è assegnato a Dana, un’inseparabile iguana. Ma l’atteggiamento da italiano equivale all’obbligo, dappertutto, a giocare a pallone.

Il ritorno in Europa è soprattutto Londra. Unico bianco nelle serate afrobeat. E dal momento che nei ristoranti italiani “c’è troppo dialetto”, meglio i progetti culinari della scena rave: risotti alla psilocibina e space cake. Lavora in bistrot in High Street Kensigton, dove assaggia anche venti caffè, passando il resto della giornata come “una scheggia impazzita”. Ha clienti come Mike Jagger, Lady Diana e Lemmy dei Motorhead. Gli manca solo la Regina Elisabetta.

Di nuovo Stati Uniti, New York. Qui dominano gli italoamericani fuori da ogni tempo “che aspettano il duce o il Re”. Tutto sa di vecchia mafia con vestiti anni Quaranta e cappello sulle ventitré. Le porzioni di cibo superano ogni immaginazione. La nota migliore: l’amicizia con l’afroamericano Garon, nella cui casa tutte le sere “si rappa”.

È la volta del Marocco. Anno 1992. Andy ci va per esibirsi al festival musicale di Ouarzazate. Fiumi di tè alla menta, montagne di cous cous di verdure e pollo e qualche tajine di carne. Conosce Vanni Leopardi, nipote del poeta. Ma non c’è quiete dopo la tempesta.

Il rientro a Roma, dove si laurea in sociologia con l’onnipresente Massimo Canevacci. Rave e occupazioni, come l’esperienza della Fintek su via Pontina: “Le mamme portavano teglie di lasagne vedendo i figli deperiti”. L’idea geniale è la “techno fraschetta”, un caravan che esporta il must dei Castelli Romani con fornelli e sound system. Il format, arricchito da ogni genere di pasta asciutta, spiedini, bruschette e, ovviamente, porchetta di Ariccia, conquista Olanda. Belgio, Francia. La “techno fraschetta” nel 2003 viene istituzionalizzata e diventa “Shakty Restaurant”, frutto anche di trasferte in India, cuoche del Forte Prenestino, generi importati da Montefiascone, patria dell’Est Est Est. La carovana con gazebo culinario girovaga per festival tra musica e cibo, spingendosi fino ad Ibiza.

Ha quindi inizio un altro capitolo esistenziale: l’India. A Pune l’italianità è il solito asso nella manica: è al ristorante “La Dolce Vita” tra carne alla toscana, ravioli fatti a mano, verdure, nduja dalla Calabria e con il cliché mafioso bretelle-coppola-camicia bianca che funziona sempre. In dogana passa di tutto regalando pezzi di Parmigiano, meglio del fumo. Non mancano piatti fusion, come la pappa con il pomodoro alla menta. Conosce Amitabh Bachchan, il più importante attore di Bollywood, diventato parlamentare. Ma anche Bajaj, uno dei più importanti costruttori, proprietario del ristorante “Olive”.

Da Pune il nostro ormai semidio passa a Goa, paradiso dell’alcool, dove tutto è ammesso. L’esperienza è al ristorante “Lo Scirocco”, piatti siciliani e mediterranei, ma anche proiezioni di film. “Non ci importa molto dei guadagni, ogni sera buttiamo rupie in cassaforte quasi senza contarle – racconta. “Vogliamo divertirci, cucinare, conoscere gente, creare signergie tra musica, vestiti, cinema e candele”. Con lui c’è la compagna Giulia, che lavora nella moda. E un figlio.

I ristoranti si susseguono come pezzi del domino: “Vagator”, bar con piscina, proprietaria la figlia del più grande produttore tedesco di giocattoli; “Casa Tito” in una villa coloniale portoghese del Settecento; “France Resort” con menù turco; “Fellini”, ovviamente italianissimo.

È quindi la volta di Assagao, quattromila abitanti, paradiso del biologico, sempre India meridionale. Un’enclave portoghese. Il ristorante è “Il Genuino” dove s’accende la passione nel realizzare salsicce sottovuoto, al vino, al finocchietto, all’arancia. Dall’Italia arriva di tutto, dal Parmigiano alle salse calabresi, dai tartufi alla pasta Divella. È un trionfo. Tra i commensali c’è Johnny Depp. La partecipazione ai food festival equivale ad una galleria di successi. Il Times of India recensisce entusiasta. Il menù con le olive ascolane giganti è il fiore all’occhiello.

Non mancano incidenti di percorso. Uno gli costa il femore spaccato, tre mesi tra agopuntura e una dieta a base di polvere d’ostriche, lische di alici, brodi di carne e midollo.

L’ultimo sipario indiano è la società con Rajesh, centauro con capelli lunghi e immancabile doppiopetto con gilet. Il ristorante è in uno stabilimento balneare con cucina mediterraneo-israelitica e cuoco nepalese bravissimo a cucinare la ziva. Il “Roy’s Palace” va a mille, anche perché i materiali e le idee precedenti si riciclano con successo, a cominciare dai dj set e dalle rassegne di cinema. Ma in realtà il socio non è Rajesh: dietro di lui c’è Max, poliziotto corrotto, per cui tutto è tollerato. La vita è un film. E i sogni in grande, come quella fissazione per una fabbrica di salumi italiani da aprire in Asia, rovinano tutto: per reperire soldi in fretta il ricorso alla droga è scontato. Ma una partita di tre chili di hashish infilata in mobili con destinazione Italia viene intercettata. Dalla fabbrica di salumi alle cucine di Regina Coeli è un attimo. “Come in un film di De Sica”. I compagni di gabbio sono estremisti di destra e ultrà della Lazio. Tutto è in bilico tra “fazioni di zingari, malavitosi di Ostia, stranieri, rapinatori, tossici e Casamonica”.

Poi i domiciliari. E una nuova stagione romana. Il bistrot al Pantheon che assicura condivisioni sulla gastronomia siciliana nientemeno che con il ministro Angelino Alfano, il mito di Propaganda Live. Le “techno fraschette” rispolverate in Tuscia. Il turno di notte all’hotel “Boscolo” a cinque stelle con corridoi in stile Shining e Penelope Cruz che prenota dieci stanze. Il bistrot “Giuliana 59” a Prati, cucina per prelati e la spesa al Mercato Trionfale. “Valadier” con l’apparizione di Valeria Marini. Il catering per i negozi Etro. Le grandi feste per architetti e costruttori romani in stile La Grande Bellezza. Il prestigioso Circolo Canottieri. La cucina rinascimentale a Castel Sant’Angelo. “Santo Vino” a piazza della Torretta. Le cene alla comunità di Sant’Egidio. E sei anni alla “Buvette” di via Vittoria, in un’epopea di teiere, vellutate superleggere, Valeria Golino e Luca Marinelli, le spezie di Castroni.

Ma il mondo cambia: il crescente peso di Tripadvisor, i cibi precotti e conservati, i nuovi fornitori, le onnipresenti cantine, eterno patrimonio italiano. Il Maxxi della Melandri e il Covid.

“Forse non sono mai stato un vero chef, non ho una carriera pulita, non sono un esecutore di rigide regole e procedure. Mi sento più un pioniere, un esploratore, un eretico, un folle che ama egoisticamente la vita”. Firmato Andy Shakty Misseri.

“Rock the kitchen”, insomma, è un viaggio infinito tra cucine di tutti i tipi, ricette sorprendenti, esperienze uniche dallo champagne agli scarti di Rebibbia. Una storia che valeva essere raccontata.

Giampiero Castellotti