Piaga del non-lavoro, problema sociale

Giampiero Castellotti
08/05/2023
Tempo di lettura: 5 minuti
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A poche settimane dalla fotografia della precarietà “giovane e donna”, realizzata in occasione del sesto Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale (“I lavoratori giovani in Italia sono diventati una rarità, nel decennio 2012-2022 gli occupati 15-34enni sono diminuiti del 7,6 per cento e quelli con 35-49 anni del 14,8 per cento, mentre i 50-64enni sono aumentati del 40,8 per cento e quelli con 65 anni e oltre del 68,9 per cento), l’istituto di ricerca socio-economica fondato nel 1964 e presieduto da Giuseppe De Rita ha presentato, in occasione del Primo Maggio, il rapporto Censis-Ugl “Il lavoro è troppo o troppo poco? Restituire valore e dignità al lavoro per superare contraddizioni e paradossi”.

Lo studio scandaglia altri aspetti del mondo del lavoro, oltre al problema del precariato. Si sofferma, ad esempio, sull’ormai strutturato nodo del mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro che alimenta, ovviamente, la disoccupazione, penalizzando soprattutto i giovani che sempre di più scelgono di andare all’estero. C’è la questione dello scarso collegamento di istruzione e formazione con le richieste del mercato, ma anche l’inefficacia dei servizi preposti a far conoscere ai candidati le offerte più in linea con le caratteristiche dei curricula.

Come si legge nella nota del Rapporto, “l’overeducation, vale a dire il mancato allineamento tra il livello di studi raggiunto e la professione svolta, in Italia riguarda un lavoratore su quattro ed è inversamente proporzionale all’età posseduta: è il 37,5 per cento tra i giovani in età compresa tra i 25 e i 34 anni e il 44,3 per cento tra gli under venticinquenni”.

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Nel dettaglio, i laureati sono ancora pochi (e molte lauree sono frutto di un mercato ormai “distorto”), con troppi laureati nelle discipline umanistiche, che spesso rimpolpano il precariato, mentre il prossimo anno mancheranno all’appello oltre 12mila medici e laureati in professioni sanitarie, oltre ottomila del gruppo economico e statistico, oltre seimila laureati Stem, oltre tremila laureati in discipline giuridiche e politico-sociali. Troppi diplomati nei licei, con un esubero di 53mila l’anno, mentre mancheranno 133mila diplomati degli istituti tecnici e professionali e qualificati nel sistema della formazione professionale.

Tale problema investe anche le imprese, che da tempo dichiarano di avere difficoltà a rispondere ai loro fabbisogni occupazionali specie in questa fase di ripresa dopo la pandemia. Sotto accusa pure il reddito di cittadinanza, che ha sottratto dal mercato del lavoro le professionalità meno formate, specie nell’edilizia, di cui però c’è tanto bisogno. Parallela è la questione del valore degli stipendi in Italia, sempre più basso: come emerge dal Rapporto, il 93,5 per cento degli italiani è convinto che gli stipendi siano troppo bassi. Del resto l’Italia è l’unico dei Paesi Ocse che negli ultimi trent’anni ha avuto una riduzione in termini reali delle retribuzioni del 2,9 per cento.

Ciò determina, oltre alla fuga all’estero, anche un aumento della mobilità interna, specie alla ricerca di migliori opportunità: nei primi nove mesi del 2022 ogni giorno in media 8.500 italiani si sono dimessi dal lavoro, il 30,1 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019, prima della pandemia. Nello stesso periodo, ogni giorno in media 49.500 italiani hanno iniziato un nuovo lavoro: il 6,2 per cento in più rispetto al 2019.

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La conseguenza sono i numeri drammatici che caratterizzano il nostro Paese, specie se raffrontati con quelli medi europei. Da noi il tasso di disoccupazione giovanile è al 22,3 per cento (dati di marzo 2023), a fronte di un tasso medio del 7,8 per cento. Il tasso di occupazione è al 60,9 per cento, stabile. Ma il 39,3 per cento dei giovani che lavorano, oltre due milioni in valore assoluto, svolge lavori cosiddetti “non standard” perché a termine e/o part time, che non garantiscono la retribuzione e la stabilità necessarie ad avere un tenore di vita adeguato e, soprattutto, a fare progetti per il futuro, come evidenzia anche il rapporto. Si conferma il fatto indiscutibile che l’Italia non sia un Paese per giovani, una ferita che unita ai dati demografici alimenta nubi all’orizzonte.

La prospettiva per la nostra nazione è che diventi presto un enorme territorio, da nord a sud, per pensionati: infatti se i giovani diminuiscono, i pensionati sono già arrivati a quota 14 milioni e 895 mila (praticamente oltre un quarto di tutta la popolazione residente) e nel 2040 saranno più di 17 milioni. Tutto ciò mentre si affaccia sul mercato del lavoro la generazione più scolarizzata di sempre: il 76,8 per cento dei giovani sotto i 34 anni è almeno diplomato (venti anni fa era il 59,3 per cento) e il 28,3 per cento è laureato (venti anni fa il 10,6 per cento). Il rischio è che tanti investimenti pubblici e privati vengano vanificati dai crescenti flussi migratori dall’Italia al resto d’Europa o anche oltreoceano.

Infatti la “fuga dei cervelli”, anch’essa analizzata da Censis e Ugl, è in gran parte conseguenziale a questo quadro: negli ultimi dieci anni oltre un milione di italiani si è trasferito all’estero, uno su quattro era laureato e uno su tre aveva tra i 25 e i 34 anni. Purtroppo il fenomeno non è destinato ad esaurirsi: il 47,3 per cento degli italiani dichiara che se ne avesse la possibilità se ne andrebbe dall’Italia, con percentuali che raggiungono il 60,6 per cento tra i più giovani. Ben l’88,5 per cento è convinto che all’estero il lavoro sia pagato meglio e siano più valorizzate le competenze.

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Giuseppe De Rita

“Il destino del Paese è quello dei giovani con talenti e competenze, che devono essere utilizzati e valorizzati nel nostro mercato del lavoro. C’è bisogno di una nuova stagione di politiche di raccordo tra formazione e lavoro per il futuro economico, ma anche demografico dell’Italia – ha dichiarato il presidente del Censis Giuseppe De Rita in occasione della presentazione del Rapporto.

Giampiero Castellotti