Nonostante la Meloni, una legislatura con poche donne

Domenico Mamone
01/10/2022
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Giorgia Meloni sarà, con molta probabilità, la prima donna presidente del Consiglio nella storia del nostro Paese. Nonostante ciò, il peso della componente femminile nella politica italiana continua ad essere abbastanza marginale. Certo, nelle ultime legislature la percentuale delle donne parlamentari è costantemente cresciuta (era appena al 9,9 per cento nel 2004, raggiungendo il 35,8 per cento nel 2019), segno di un parziale superamento del problema grazie anche a leggi ad hoc. Tuttavia il nuovo parlamento che sarà ufficializzato nei prossimi giorni vedrà per la prima volta da vent’anni un calo della percentuale di donne.

Nel dettaglio, alle elezioni politiche di domenica 25 settembre sono state elette 186 donne, cioè il 31 per cento rispetto al totale dei 600 parlamentari. Nella scorsa legislatura erano state 334 su 945, cioè, appunto, il 35,3 per cento, la quota più alta nella storia. Più di una su tre e soprattutto al di sopra della media europea, pari al 32,8 per cento.

L’attuale sistema elettorale, il Rosatellum, prevede sostegni per l’elezione delle donne: sul totale delle candidature, un genere può essere rappresentato da massimo il 60 per cento e nelle liste dei collegi plurinominali. E i generi vanno alternati, cioè dopo una donna va candidato un uomo, poi ancora una donna e infine un uomo, o viceversa. Il problema del meccanismo è nella possibilità, per un candidato o una candidata, di presentarsi fino a cinque collegi plurinominali diversi, oltre a una candidatura in un collegio uninominale. Quindi anche in questo caso le decisioni vengono dall’alto.

Dai dati dei siti La Voce e Pagella Politica, le responsabilità ricadono tanto a destra quanto a sinistra. Se il primato negativo spetta a Fratelli d’Italia, benché esprima la premier, con il 27 per cento di donne elette (33 alla Camera e 17 al Senato su 185), al secondo e al terzo posto ci sono rispettivamente Pd (28,6 per cento pari a 22 deputate e 12 senatrici su 118 eletti) e Verdi-Sinistra (31,3 per cento, pari a cinque donne su 16 parlamentari), partiti che solitamente fanno della questione della parità di genere un cavallo di battaglia. Evidentemente solo a parole.

Al quarto posto c’è la Lega con il 31,6 per cento (30 su 95), seguita a ruota da Forza Italia con il 31,7 per cento (19 su 60) e da Noi Moderati con il 33,3 per cento (tre su nove), cioè esattamente una donna ogni due uomini eletti.

I due partiti che hanno quasi applicato la parità di genere sono stati Azione-Italia Viva, con il 46,6 per cento (14 donne su 30) e il Movimento 5 Stelle, che ha eletto 36 donne su 80 parlamentari, pari al 45 per cento.

Fuori classifica il caso di +Europa, che ha eletto due soli deputati, entrambi uomini: Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi. Però con Emma Bonino che ha sfiorato il seggio a Roma, chiedendo il riconteggio.

La situazione in Europa, come abbiamo visto, non è dissimile da quella italiana. Se Giorgia Meloni sarà confermata premier, le donne alla guida dei 27 governi in Europa salgono a cinque, ricordando che l’ultimo Paese ad aver scelto una premier per la prima volta nella sua storia è stato l’Estonia nel 2021 con Kaja Kallas. Gli altri sono Danimarca (Mette Frederiksen), Finlandia (Sanna Marin) e Lituania (Ingrida Šimonytė). La Germania ha perso la guida femminile dal dicembre 2021 con l’elezione di Olaf Scholz dopo i sedici anni di Angela Merkel da cancelliera.

Va ricordato, però, che la commissione europea è guidata da Ursula von der Leyen.

A brillare per sensibilità al tema sono Finlandia e Svezia, dove oltre la metà dei membri di governo sono donne (57,6 in Finlandia e 52,2 in Svezia, dato precedente alle elezioni delle scorse settimane), seguite da Austria e Spagna, entrambe a quota 50 per cento. La Francia è al 48,6 per cento, segnando la più rilevante crescita degli ultimi anni insieme al Portogallo. Agli ultimi posti la Grecia, Malta e l’Ungheria. Male anche Croazia, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia.

Tale presenza femminile, però, cala mediamente al 21,8 per cento se analizziamo la presenza alla guida dei ministeri, addirittura al 15,5 per cento se si considerano solo i ruoli governativi di maggiore rilevanza (presidente del Consiglio, ministri dell’Economia, degli Esteri, degli Interni, della Sanità), secondo l’elaborazione di Openpolis.

Insomma, il tasso di civiltà di un Paese si misura anche da questo dato.

Domenico Mamone