Museo della Tabaccheria,
un tuffo nell’Italia del secolo scorso

Nataliya Bolboka
16/01/2023
Tempo di lettura: 6 minuti
Foto Museo

Sale, sigarette, pipe, tabacco, cerini, quaderni, timbri, matite, cartoline, giocattoli in latta, carte da gioco. E ancora caffè, profumi, rasoi, brillantina, cioccolatini. Questo e tanto altro veniva venduto nella tabaccheria di un tempo. Una sorta di grande bazar in cui poter trovare un po’ di tutto. Presente in tutti i centri cittadini, grandi o piccoli, la tabaccheria ha rappresentato e continua a rappresentare un punto di riferimento per la comunità. La sua evoluzione segue la storia del Paese, rispecchiando i cambiamenti della società e adeguandosi ai nuovi stili di vita. Attraverso il mondo dei tabaccai – o dei “tabacchini” come vengono chiamati in alcune zone d’Italia – è possibile ripercorrere le tappe dell’Italia intera.

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Un esempio è costituito dalle insegne. Dopo il 1861, con l’unificazione del Regno d’Italia, hanno presentato per molti decenni lo stemma della monarchia sabauda. Nel 1901, fuori dai locali, è diventato obbligatorio esporre la targa con lo stemma reale e la legenda “Sali e Tabacchi”. Durante il ventennio fascista lo stemma è stato affiancato dal fascio littorio, mentre nel 1948, in seguito all’avvento della Repubblica, i fasci sono stati sostituiti dall’emblema repubblicano. La classica “T” bianca su sfondo scuro, invece, è stata introdotta nel 1957 e, nonostante qualche modifica nel corso del tempo, resta in uso ancora oggi.

A testimoniare l’importanza delle tabaccherie vi sono anche i generi venduti. Nel 1862 venne istituito il monopolio sul sale: produzione e distribuzione passarono quindi a carico dello Stato. Per la vendita al dettaglio era necessaria la licenza, posseduta appunto dalle tabaccherie. All’inizio venne confezionato in grossi sacchi di juta chiusi con lo spago. Grandi blocchi di sale che il tabaccaio stesso ritirava presso i magazzini dei Monopoli, spesso coprendo lunghe distanze, a piedi, con un cavallo o un asino. I blocchi venivano quindi conservati nel retrobottega. All’occorrenza venivano frantumati nel mortaio e pesati su una bilancia con il piatto in vetro, così stabiliva la legge, per poi essere venduti avvolti nella carta alimentare. Negli anni Trenta l’Italia venne colpita dalla pellagra, malattia causata da una carenza alimentare di acido nicotinico. Il governo, quindi, incaricò i tabaccai di distribuire gratuitamente il sale ai malati che non se lo potevamo permettere. Dal primo gennaio del 1974 il monopolio sul sale è stato completamente abolito, ma le tabaccherie continuano a venderlo in una sorta di tradizione.

Il sale, però, non è l’unico genere venduto nelle tabaccherie e regolamentato dallo Stato.
A fine Ottocento il nostro Paese è stato devastato dalla malaria. All’inizio del secolo successivo è cominciata la vendita del chinino, antimalarico naturale estratto dalla corteccia di un albero originario delle Ande peruviane. Nel 1900 è stata introdotta una legge per la vendita del Chinino di Stato in farmacie e tabaccherie, che dovevano averne sempre delle scorte, con lo scopo di portarlo “dappertutto, in ogni angolo d’Italia e sia puro e si venda al massimo buon mercato possibile…”. Essendo presenti ovunque, erano proprio le tabaccherie il principale mezzo della campagna antimalarica. Una volta debellata la malattia, il chinino ha continuato ad essere utilizzato contro la febbre. Inizialmente venduto in fiale, e solo successivamente sotto forma di pasticche, ha un gusto molto amaro. Per questo motivo è stato somministrato mescolato a zucchero e aromi naturali, tra cui il gin. La pozione così ottenuta altro non è che acqua tonica.

Quando negli anni Sessanta i telefoni pubblici hanno cominciato a diffondersi in tabaccheria, le persone che non avevano un telefono in casa, hanno preso l’abitudine di andarvi per telefonare. Le tabaccherie, infatti, hanno sempre costituito molto più che un semplice luogo di acquisto: erano un vero e proprio spazio di aggregazione dove riunirsi attorno al braciere, conversare, giocare a carte, recitare il rosario o giocare al lotto. Nato quasi quattro secoli fa e diffusosi rapidamente in tutto Europa, il lotto deriva il suo nome dal francese lot, ovvero “sorte, eredità”. Inizialmente, infatti, il premio consisteva in un lotto di terreni o immobili. Raggiunta l’Unità, il gioco, che in ogni regione aveva un ordinamento specifico, è stato uniformato al Lotto nazionale. Anche il gioco ha seguito regole precise imposte dall’Intendenza di Finanza, ovvero la vecchia Guardia di Finanza. Così i tabaccai, che per lungo tempo hanno gestito tutto manualmente, hanno compilato le giocate dei clienti e le hanno raccolte in un sacco di juta, chiudendole con punzonatrice e piombini su cui veniva indicato il numero della ricevitoria.

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Questi e altri oggetti si possono trovare nel Museo della Tabaccheria a Roma, in zona Trastevere. Uno spazio espositivo che testimonia non solo la storia dei tabacchi ma quella dell’Italia stessa.
Aperto nel maggio del 2022 a pochi passi dalla Federazione Italiana Tabaccai, il museo costituisce la naturale evoluzione dell’Archivio Storico Fit. È il frutto di anni di ricerche e raccolta di materiale. Molti degli oggetti presenti sono stati donati da tabaccai, altri derivano direttamente dall’archivio e dalle acquisizioni della Federazione. Nel museo si possono così ammirare bilance per pesare il sale, vecchie insegne, bilance per lettere, chinino, distributori di sigarette automatici simili a jukebox. E ovviamente vecchie confezioni di sigarette, sigari, accendini usa e getta e quelli più eleganti e da collezione. Scatole di fiammiferi illustrate, vecchie pipe intarsiate, fino ad arrivare agli oggetti per la cura della persona come ciprie, talco, brillantina, rasoi, saponette, ma non solo. Vi sono custodite anche vecchie foto in bianco e nero, scattate fuori e dentro le rivendite storiche, con i loro banconi e le vetrine. E ancora vecchie edizioni de “Il Tabacco”, primo periodico interamente dedicato a questo mondo e fondato nel 1897, de “Il Tabaccaio” che dal 1924 al 1925 è stato l’organo mensile del Sindacato rivenditori generi di monopolio, poi sostituito da “La Voce del Tabaccaio”. Pubblicato a intermittenza durante gli anni dei conflitti mondiali, dal 1952 non ha mai saltato un’edizione, tutte raccolte all’interno dell’archivio.

Non mancano poi le locandine degli scioperi che testimoniano le battaglie della Federazione Italiana Tabaccai. Come lo sciopero del 28 giugno 1971, in cui per la prima volta le tabaccherie, allora erano appena seimila, hanno chiuso per un’intera giornata. O ancora lo sciopero del 23 gennaio 1975 cui ha aderito praticamente l’intera categoria.
Quel mondo, in fondo, c’è stato donato in molti film. Viene in mente la scena nell’immortale La banda degli onesti: il bar-tabaccheria dove Totò smercia la banconota falsa è quella di via di Monte Savello a Roma, a pochi passi dal Teatro Marcello.

Un vero e proprio tuffo nel passato, paradiso di collezionisti e nostalgici che nello spazio espositivo del Museo della Tabaccheria di via degli Orti di Trastevere 72 possono rivivere vecchi ricordi e in cui i più giovani possono scoprire una realtà ricchissima, ormai quasi dimenticata, ma che continua a vivere.

Nataliya Bolboka