“Motherhood penalty”, mamme penalizzate sul posto di lavoro

Giampiero Castellotti
13/05/2024
Tempo di lettura: 5 minuti
Mamma

La versione moderna della Festa della mamma è stata istituita dall’attivista americana Anna Jarvis: fu lei a organizzare nel 1908 le prime celebrazioni ufficiali della Festa della mamma, tra il West Virginia e Filadelfia, scegliendo la seconda domenica di maggio poiché onorava l’anniversario della morte di sua madre. Lo scopo era istituire una festa dedicata alla mamma, che potesse “commemorarla per il servizio impareggiabile che ella rende all’umanità in ogni campo della vita”, come ebbe a dire la compianta madre della Jarvis.

Ruolo dunque prezioso quello delle madri, anche e soprattutto nella nostra epoca, caratterizzata dalla rapidità dei cambiamenti e dalla fluidità delle relazioni, per cui assumono un ruolo ancora più rilevante come punti fermi nelle vite dei loro figli, delle loro figlie e nella società in generale. Proprio per questo, non è possibile ignorare le discriminazioni che spesso queste si trovano a dover fronteggiare sul posto di lavoro.

Il fenomeno, sempre più diffuso a livello globale, è quello della “motherhood penalty”, per cui la retribuzione delle donne diminuisce una volta diventate madri, spesso in virtù della loro maggiore propensione al lavoro di cura e ad un mancato supporto da parte dei datori o delle datrici di lavoro. Tutto questo infatti accentua il fenomeno del gender pay gap: secondo il recente Gender Pay Gap Report, ripreso anche da Forbesle madri lavoratrici guadagnano 75 centesimi per ogni dollaro pagato ai padri, nonostante il divario permanga tra uomini e donne senza figli (88 centesimi). Ugualmente, uno studio ripreso in un recentissimo articolo da CNBC ha evidenziato che la motherhood penalty è ancora più pronunciata nelle famiglie con donne come capofamiglia”: queste infatti, nonostante guadagnino di più rispetto ai loro partner maschi, subiscono un calo del 60% dei loro guadagni prima del parto. Il trend globale si conferma anche a livello nazionale: la Survey L.E.I. (Lavoro, Equità, Inclusione) 2024 diffusa recentemente da Fondazione Libellula, che ha coinvolto 11.201 donne, evidenzia come in Italia l’84% delle madri con figli al di sotto dei tre anni sia toccato dal gender pay gap, dichiarando comunque il 60% delle donne di avere una retribuzione inferiore rispetto al collega uomo, a parità di ruolo, responsabilità e anzianità di servizio.

Tuttavia il divario non è solamente economico, ma anche professionale in quanto il 75% delle madri vede rallentato il proprio percorso di crescita, con una percentuale maggiore se minore è l’età dei figli e maggiore il numero degli stessi. “Il divario retributivo e professionale è alimentato da vecchi stereotipi di genere: la narrazione dice che le donne sono per natura “multitasking”, guarda caso però quando diventano madri si pensa che non possano essere anche brave professioniste e che può esistere solo o una o l’altra cosa. Questo comporta una serie di discriminazioni che frena il percorso lavorativo delle donne che hanno figli/e, spesso costrette o molto sollecitate a scegliere di lavorare meno o non puntare su una maggior crescita professionale – commenta Debora Moretti, fondatrice e presidente di Fondazione Libellula.    

Spesso infatti le madri optano per impieghi part-time che permettano loro di prendersi cura dei figli o addirittura lasciano il lavoro se i bambini sono troppo piccoli: infatti, come emerge dalla survey, sono perlopiù le donne a occuparsi della gestione e cura dei figli (51% circa delle intervistate), il che conferma gli stereotipi che rendono la genitorialità condivisa qualcosa di ancora molto lontano. Uno scenario aggravato ulteriormente dalle discriminazioni che le madri subiscono sul posto di lavoro, per cui secondo il report quasi sette donne su dieci sono venute a conoscenza, direttamente o indirettamente, di allusioni e commenti negativi legati alla maternità in azienda. Queste situazioni sono state sperimentate perlopiù da donne con figli al di sotto dei tre anni, e sembrano riguardare maggiormente il settore sanitario e legale, oltre ad essere prevalentemente diffuse in Lazio e Veneto. “Per le aziende diventa imperativo intervenire adottando politiche che favoriscano un maggior equilibrio tra lavoro e vita privata, che permettano di combattere gli stereotipi di genere e promuovere quindi un ambiente lavorativo più inclusivo e rispettoso – conclude Moretti.

Ma allora cosa si può fare in concreto per rendere il posto di lavoro un ambiente inclusivo, paritario e rispettoso delle madri lavoratrici? Da Fondazione Libellula ecco cinque preziosi consigli:

  1. Adottare politiche aziendali che favoriscano un buon equilibrio vita privata e lavoro, come l’estensione dei congedi parentali, l’adozione di benefit economici o di una maggiore flessibilità, contemplando per esempio la possibilità di forme di lavoro ibrido. 
  2. Supportare le neo-mamme e i neo-papà nel rientro al lavoro con group coaching e counseling, favorendo il confronto tra i generi per sviluppare una visione dell’esperienza più articolata e approfondita e che consideri le diverse prospettive in gioco. È utile che i percorsi siano guidati da coach con esperienza nelle tematiche di genere.
  3. Creare una community dei genitori presenti in azienda, attraverso cui le persone possono attivare colleghi e colleghe per cercare la risoluzione di problemi pratici o un confronto su specifiche esperienze.
  4. Creare dei workshop formativi per manager al fine di superare visioni limitanti circa la genitorialità sul posto di lavoro, ascoltando le diversità nel team e facilitando i processi comunicativi.
  5. Promuovere dei workshop formativi per i ruoli HR con l’obiettivo di accrescere la loro consapevolezza sui bisogni/peculiarità della fase di pre e post e sviluppare la capacità di accompagnare i neogenitori nel percorso di rientro, monitorando la soddisfazione e l’ingaggio e superando eventuali stereotipi sulla genitorialità in azienda.
Giampiero Castellotti