L’Iran, tra voglia di modernità e tradizione religiosa

Leonardo Mamone
23/12/2022
Tempo di lettura: 6 minuti
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Sono svariati giorni che si sente parlare di proteste in Iran circa l’obbligo del velo e la condizione di vita della donna.

Il Global Gender Gap Report, pubblicato nel marzo 2021, posiziona l’Iran al 150º posto su 156 Paesi analizzati. Le donne rappresentano il 5,60% dei componenti del Parlamento, mentre ricoprono il 6,67% degli incarichi ministeriali.

Le proteste sono iniziate il 16 settembre di quest’anno (2022) in seguito all’arresto e alla morte di Mahsa Amini. Secondo The Guardian, la ragazza, in visita alla capitale Teheran, è stata arrestata per aver violato le regole di abbigliamento, dunque mostrando parte dei capelli e ha successivamente subito violenze fisiche nel furgone della “polizia morale”.

Da quel giorno molte donne e uomini si sono trovati a protestare per chiedere un Paese più libero e democratico, nonché il rovesciamento della Repubblica Islamica (non è la prima volta nella storia iraniana che il Paese affronta proteste e disordini).

Le violente proteste in strada hanno implicato lo schieramento delle forze di polizia antisommossa e i vari corpi di sicurezza del Paese, portando il bilancio per quanto riguarda i manifestanti ad almeno 448 morti, inclusi 60 bambini al 29 novembre 2022, migliaia di feriti e 18.170 arresti stimati, mentre le perdite nella polizia ammontano a 57.

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I manifestanti organizzano piccoli e numerosi flash mob. Per esempio, gli automobilisti hanno bloccato le strade con le loro auto per rallentare le forze di sicurezza; le strade sono state bloccate anche da cassonetti e da auto della polizia ribaltate. Ci sono state anche forme di protesta simboliche, come i canti provenienti dai tetti delle case o dalle finestre, la tintura delle fontane di rosso sangue e la rimozione e l’incenerimento dell’hijab da parte delle donne, alcune delle quali si tagliano di capelli in pubblico e, dal momento in cui il turbante è visto come simbolo del regime, alcuni manifestanti tentano di farlo cascare dal capo dei religiosi iraniani scappando poco dopo.

Alcuni insegnanti e professori universitari hanno dichiarato il loro sostegno al movimento studentesco, boicottando le lezioni o dimettendosi dal loro incarico.

È importante ricordare che la situazione nel Paese non è stata sempre così.

Dal 1925 al 1979 (anno di nascita della Repubblica Islamica dell’Iran), a capo dello Stato Imperiale Iran vi era un sovrano, chiamato Scià.

Lo Scià Reza Pahlavi, divenuto monarca nel 1926, ha iniziato un processo di modernizzazione del Paese in senso occidentale che in qualche modo ha aiutato le donne a guadagnarsi maggiore visibilità pubblica, bandendo il velo e aprendo anche alle studentesse l’Università di Teheran (1936).

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La stessa politica è stata attuata dal figlio, Mohammad Reza Pahlavi, succedutogli nel 1942, che si è occupato di ampliare i benefici riguardanti le donne. Ha adottato una serie di provvedimenti che hanno favorito la condizione femminile dell’epoca.

Queste misure rientravano nel quadro di un programma di riforme, noto come “rivoluzione bianca”, che avevano lo scopo di modernizzare l’Iran nel più breve tempo possibile.

Le donne iraniane, oppresse per tanti secoli dalla sharīʿa islamica, acquisivano nel febbraio 1963 il diritto di voto sia attivo sia passivo.

Il 27 agosto 1968 Farrokhroo Parsa è diventata la prima donna ministro nella storia dell’Iran (fino al 2 gennaio 1971). È stata in seguito giustiziata a 58 anni l’8 maggio 1980, dopo la cosiddetta “rivoluzione spirituale”.

Mahnaz Afkhami è stata la seconda donna ministro in Iran, come ministro senza portafoglio per le donne e gli affari femminili dal 31 dicembre 1975 al 27 agosto 1978.

Nel periodo dello Scià è stato riformato lo stato di famiglia con l’introduzione di codici progressisti che proteggevano il diritto delle donne in questioni come il divorzio e che limitavano la poligamia (1967).

Nel 1970 la 35enne Dabir Azam Hosna è diventata la prima donna sindaco in Iran, nella città di Babolsar, anche se è stata presto costretta a dimettersi dopo una decisione presa da un consiglio di soli uomini.

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Dal 1973 l’età legale per contrarre matrimonio è stata portata a 18 anni per le donne (nel 1931 era 15 anni). Due anni prima della rivoluzione, è stato regolamentato l’aborto su richiesta con una legge, che è stata in seguito abrogata nel 1979, cioè dopo la rivoluzione spirituale.

Nonostante i notevoli benefici alla popolazione femminile, la politica dello Scià obbligava però il Paese all’occidentalizzazione “rapida e forzata”, probabilmente non compresa del tutto dalla popolazione che non si sentiva tutelata.

Molte furono le donne che si ribellarono, opponendo una forma di resistenza passiva: cambiarono così, in segno di protesta, il loro modo di abbigliarsi occidentale ed indossarono un mantello lungo e largo che copriva tutto il corpo, avvolgendo poi la testa in un grande foulard.

Un altro problema è stata la corruzione, particolarmente estesa nel periodo dello Scià.

Quando è esplosa la rivolta di popolo, ispirata dall’ayatollah Rūḥollāh Khomeynī, le donne di ogni estrazione sociale sono sfilate in prima fila opponendosi al regime dello Scià, legittimando il regime che avrebbe portato il Paese a questo presente instabile e ingiusto.

Il 16 gennaio 1979 lo Scià è stato costretto a fuggire per evitare un bagno di sangue tra i suoi sostenitori e i rivoluzionari, rimanendo tuttavia al potere fino all’11 febbraio.

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Dopo il referendum che si è tenuto tra il 30 e il 31 marzo 1979, riguardante la decisione di scegliere tra monarchia e repubblica, e dopo la conferma del 99% degli aventi voto di scegliere la seconda opzione, il 1º aprile è stata proclamata la Repubblica Islamica.

Durante la rivoluzione iraniana, che ha portato il Paese ad essere lo Stato che è ai giorni d’oggi, le donne sono state private sempre più dei benefici a loro concessi, riportando la realtà ad uno stretto rapporto con la legge estremista islamica, che nella visione conservatrice vede la figura femminile come inadatta alla partecipazione alla vita pubblica e ad essere rappresentante di se stessa in maniera autonoma.

La comunità internazionale e alcuni sindacati italiani, tra cui la Cgil, condannano le persecuzioni che avvengono in Iran nei confronti dei manifestanti. I leader sindacali hanno affermato: “E’ necessario un intervento autorevole e fermo della comunità internazionale. Le esecuzioni a morte da parte del regime iraniano rappresentano una gravissima violazione dei diritti umani e delle norme internazionali”.

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Leonardo Mamone