Lingua italiana, un elemento identitario da valorizzare

Nataliya Bolboka
24/05/2023
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La valorizzazione della lingua italiana come fattore di sviluppo culturale ed economico, nonché come veicolo che ha permesso al Made in Italy di affermarsi del mondo. Questo il tema del “Forum della lingua italiana” tenutosi il 23 maggio presso la Sala Regina della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio.

Un importante dibattito che ha visto il confronto tra istituzioni, università e imprese, proprio nell’anno di importanti anniversari. I 150 anni della morte di Manzoni, i 200 anni dalla pubblicazione della prima edizione de I promessi sposi, sotto il titolo di Fermo e Lucia, e ancora i 100 anni dalla pubblicazione de La coscienza di Zeno di Italo Svevo e il centenario dalla nascita di Italo Calvino. Grandi nomi ed esponenti della letteratura italiana che con i loro capolavori hanno contribuito alla cultura e alla valorizzazione dell’Italiano. Manzoni poi, è tra i padri della lingua italiana. Quando l’Italia non esisteva, infatti, furono proprio i letterati a credere nell’Unità ancor prima dei politici.

D’altronde, la Treccani definisce la nazione come “il complesso delle persone che hanno comunanza di origine, di lingua, di storia e che di tale unità hanno coscienza, anche indipendentemente dalla sua realizzazione in unità politica”. La lingua, quindi, rappresenta un elemento fondamentale dell’identità di un popolo, e come tale va valorizzata.

In quest’ottica va intesa la proposta di legge di FdI a difesa della lingua italiana, illustrata durante la conferenza dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli. Come sottolineato dal vicepresidente, la proposta è stata elaborata sulla base di leggi esistenti in altre nazioni, come la legge francese Toubon.

In un’epoca in cui vi è la consuetudine sempre più diffusa di utilizzare parole straniere anche quando non necessario, l’obiettivo della proposta di legge non è negare l’utilizzo di tali parole, ma piuttosto garantire il diritto alla comprensione dei cittadini, inclusi quelli meno istruiti o che non hanno conoscenza delle lingue straniere.

Intervenuto al Forum, Paolo D’Achille, presidente dell’Accademia della Crusca, ha ribadito il sostegno dell’Accademia alla proposta di legge, in primis all’indicazione dell’Italiano come lingua ufficiale della Repubblica, non tanto con funzione identitaria ma “come una conquista che la Repubblica deve garantire e non imporre”. Allo stesso modo ha sostenuto la difesa dell’Italiano per contrastare l’invadenza dell’inglese, ricordando come ciò avvenga già non solo in Francia ma anche in Spagna, facendo però attenzione a tenere a mente le caratteristiche del Paese e a non trasferire principi e criteri superati dalla moderna linguistica. Inoltre ha sottolineato la necessità “di porsi obiettivi concretamente realizzabili”.

In conclusione ha affermato: “È sicuramente opportuno che anche i palazzi della politica si pongano la questione linguistica. L’idea di un dirigismo non può essere condivisa, ma si deve operare con un maggior rigore perché tutti i documenti degli enti pubblici, statali e non statali, scritti, detti o trasmessi in un buon italiano”, intendendo con quest’espressione “l’italiano corretto, comprensibile e chiaro, privo di anglismi inutili e spesso incomprensibili a una parte elevata di popolazione”.

La difesa della lingua, poi, ha anche un interesse economico. Alessandro Masi, segretario generale della Società Dante Alighieri, è partito dall’espressione di John Berger “l’Italia è un paese lavorato mano”, sottolineando come l’industria manufatturiera nei primi 11 mesi del 2022 ha consolidato la forte crescita già sperimentata nel 2021. Il segreto di questo successo imprenditoriale, secondo Masi, è da attribuire in parte ad una componente culturale, ovvero “quella che fa della piccola azienda italiana, un centro di elaborazione di idee non standardizzate, un ‘lavorato a mano’ a carattere familiare, non urbanizzato che mette al centro l’uomo, le sue idee, la sua creatività e soprattutto la sua lingua”. Continuando: “Parlare italiano, pensare italiano, vivere all’italiana non sono vezzi o mode, ma modi di percepire la realtà secondo un canone di bellezza e un ordine di misura del mondo unici nel suo genere”.

D’altronde se l’Italia subisce gli influssi esteri, è anche vero il contrario. Sono tanti infatti gli italianismi, spesso riferiti al cibo, presenti nel mondo, come maccheroni, pasta, pizza, utilizzati nel linguaggio comune, ma anche nel marketing internazionale. L’italianità, infatti, all’estero costituisce un vero e proprio stile di vita invidiatoci da tutti e noi abbiamo il dovere di preservarlo portando alto l’orgoglio italiano, a partire dalla lingua.

Nataliya Bolboka