Un tempo si parlava di “cordone sanitario”, indicando quegli strumenti per tenere l’estrema destra lontana dai Palazzi istituzionali.
In Italia si è dato vita, nella Prima Repubblica, al cosiddetto “arco costituzionale”, cioè una sorta di accordo tra tutte le forze politiche – dai comunisti ai liberali, dai democristiani ai socialisti – per estromettere il Movimento sociale italiano di Giorgio Almirante dai centri di potere.
Questa strategia ha pagato per molti anni e i cosiddetti “neofascisti” sono rimasti ai margini della vita democratica, racimolando mediamente il 6-7% dei consensi nelle urne, con le punte massime del 9,1% nel 1972 e del 7,3% nel 1983.
Poi, principalmente tre fenomeni hanno sparigliato le carte: la caduta del Muro di Berlino, lo scolorimento delle ideologie e della partecipazione – che ha mandato in crisi i partiti con le loro strutture e i soggetti d’intermediazione – e soprattutto l’immigrazione.
Lo sbriciolarsi dell’Urss e, di conseguenza, il declino del comunismo occidentale – che ha beneficiato a lungo proprio dei finanziamenti sovietici – ha fiaccato la cosiddetta “guerra fredda” tra russi e statunitensi, liberando l’elettorato da una lunga contrapposizione tra formazioni politiche filosovietiche da una parte e anticomuniste dall’altra. In Italia il sistema politico è stato sostanzialmente bloccato per un cinquantennio dalla competizione elettorale tra la Democrazia cristiana, partito più votato anche come argine contro la sinistra più estrema, e il Partito comunista, principale riferimento della classe operaia.
A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta tutto è cambiato: il crollo istituzionale dell’Europa dell’Est ha determinato una sostanziale egemonia statunitense nel mondo, con l’infittirsi dei semi angloamericani, anche culturali, a livello planetario: la personalizzazione della politica, il trionfo della società dei consumi con la mitizzazione del mercato, l’individualismo, il nazionalismo, gli stravolgimenti degli assetti produttivi con la terziarizzazione e il ridimensionamento delle grandi fabbriche hanno finito per portare acqua al mulino delle destre. Anche in Italia, dove la stagione di Tangentopoli, che inizialmente avrebbe potuto favorire la “macchina da guerra” comunista con i partiti di governo liquidati dalle inchieste giudiziarie (ma non solo), ha finito invece con il favorire la granitica opposizione missina, con uno spostamento più a destra dell’elettorato conservatore.
Emblematici, in tal senso, gli inusuali scontri nelle elezioni amministrative a Roma e Napoli del 1993 tra candidati di destra e di centrosinistra. Una storica prova amministrativa che ha sancito la nascita del bipolarismo, il tramonto della Prima Repubblica e, di fatto, la discesa in campo di Silvio Berlusconi, il quale il 23 novembre 1993 a Casalecchio di Reno, mentre inaugurava un supermercato, alla domanda di un giornalista per chi avrebbe votato a Roma, rispose a sorpresa: “Certamente Gianfranco Fini”.
Infatti in quell’anno il Movimento sociale italiano raggiunse il 31% dei consensi a Roma e il segretario Gianfranco Fini, candidato sindaco della destra a Roma, sfiorò l’impresa ottenendo il 47% dei voti. A Napoli la candidata sindaca di destra Alessandra Mussolini raggiunse il 44,4%, prevalendo in otto quartieri.
Proprio in quell’anno il Msi, che sarà poi definitivamente sdoganato dallo scaltro Berlusconi, cominciò a diventare forza di governo in molti comuni. La destra missina espresse il primo cittadino in quattro capoluoghi di provincia, a Benevento, Caltanissetta, Chieti e Latina. Nel solo Lazio, il Msi conquistò anche Colleferro, Ladispoli e Grottaferrata, quest’ultima città sottratta ai socialisti. Nel 1995 il missino Antonio Rastrelli diventò governatore della Campania.
Lo sdoganamento della destra non solo ha consegnato il patrimonio valoriale del Movimento sociale ai futuri governi di centrodestra, che hanno fatto propri, ad esempio, i temi del presidenzialismo, del corporativismo (commercianti, balneari, tassisti, ecc.) o della sicurezza, ma ha anche sbiadito la pregiudiziale antifascista tanto in voga negli anni Settanta, frutto soprattutto del lavoro dei comunisti nella Costituente: non a caso il Pci, anche per legittimarsi nell’agone politico democratico, nel dopoguerra votò in blocco la Costituzione.
La ricostruzione di questa fase storica è importante per comprendere i fenomeni politici contemporanei. Perché, se per radicare i risultati di quel passaggio, la destra neofascista dovette abbandonare il Msi con le sue “nostalgie” da Ventennio e rinnovarsi con la trasformazione del partito in Alleanza nazionale, dai toni più moderati grazie anche al reclutamento di molti ex democristiani, negli ultimi anni stiamo assistendo ad un nuovo cambiamento, o, se vogliamo, ad un’accelerazione di un certo recupero valoriale: la destra moderata, coagulatasi principalmente intorno a Berlusconi, è stata scavalcata o sovrapposta da una destra sempre più muscolosa. Non solo in Italia, dove oggi gli eredi del Msi insieme ai leghisti possono contare su ben un terzo dell’elettorato e sull’insediamento da due anni alla guida del Paese, ma un po’ in tutta Europa. I recenti e clamorosi risultati in Francia, Germania e Austria confermano come l’estrema destra stia scalzando in particolare i conservatori, ma anche corrodendo un elettorato di sinistra sempre meno propenso soprattutto al consenso sulle politiche di accoglienza dei migranti da parte dei governi di centrosinistra.
A contribuire al fenomeno dell’onda “nera” – crescente da anni un po’ in tutta Europa, dalla Scandinavia (si pensi all’entrata della Svezia nella Nato, da sempre sostenuta dalle destre) alla Penisola iberica – è proprio l’inquietudine per i crescenti flussi migratori e per le conseguenze principalmente nell’ambito della sicurezza sociale. Se originariamente le destre mettevano in risalto la sottrazione di lavoro da parte dei cittadini stranieri, da qualche anno l’associazione si è estesa, ad esempio con la microcriminalità: tra i dati maggiormente presentati in Italia, c’è quello carcerario con un terzo della popolazione penitenziaria costituita da cittadini stranieri rispetto ad un decimo di residenti stranieri.
Hanno alimentato le destre anche gli aumenti dei prezzi al dettaglio a causa dell’inflazione, le restrizioni del periodo Covid e la necessità di maggiore sicurezza da parte dei cittadini, specie nelle periferie delle metropoli, passate da roccaforti rosse a feudi della destra.
Il voto politico più recente, domenica scorsa in Austria, ha visto trionfare proprio una formazione di estrema destra, Fpö (Partito della libertà), diventata primo partito con il 29,2% dei voti e un balzo del 13% rispetto alle precedenti legislative. Ha raddoppiato i parlamentari a scapito principalmente dei popolari, che hanno perso l’11% dei consensi rispetto alle elezioni del 2019.
Certamente, com’è successo più volte in Francia, il boom dell’estrema destra ha scarse possibilità di tradursi in forza di governo, benché in numerosi Paesi europei (come in Ungheria) la destra, anche quella più estrema, stia al potere da tempo. Ma l’arroccamento di tutti gli altri partiti in una sorta di nuovo “arco costituzionale” – come succederà probabilmente in Austria – rischia di ridurre lo scontro “estrema destra contro tutti” e finisce per favorire proprio chi sta all’opposizione delle “ammucchiate” di governo.
Occorre aggiungere che l’estrema destra si sta gradualmente normalizzando nel panorama delle democrazie liberali sempre più in crisi e le idee più radicali – compresa quella della “sostituzione etnica in Europa” – trovano maggiori consensi.
Di fronte all’incapacità della sinistra di affrontare il tema dell’immigrazione senza demagogia, la destra appare pragmatica – ad esempio nel recente “pacchetto sicurezza” o nella più dura politica migratoria o ancora nella lotta contro gli eccessi della transizione verde – e più forte in termini di “tranquillizzanti” riferimenti identitari, ad iniziare da quello familiare: grazie anche a questo riesce a raccogliere consensi trasversali, esercitando un forte richiamo in particolare tra i ceti popolari.