
C’è un vecchio balcone che avvicina al paradiso. È presente in ogni paesetto abruzzese. La ringhiera consumata – tinteggiarla sarebbe un’eresia – incarna il lento scorrere del tempo. L’affaccio scorta pomeriggi freschi di brezze e ben incastonati nella natura. Le vette incontaminate dell’Appennino seminascondono gli orizzonti lontani, arricchiti di mille colori.
È su questo balcone sopravvissuto anche ai terremoti, antichi e recenti, che le famiglie estese e disseminate nel mondo hanno modo di apprezzare, seppur per pochi giorni estivi, quel richiamo alle virtù di questa terra, tra elaborati manicaretti, tipici del territorio, con le immancabili scrippelle ‘mbusse, ed eccellenti vini, per lo più di derivazione collinare.
I Monti della Laga, non distanti dal mare, contrassegnano l’area interna, proteggendone le dolci colline dalle masse d’aria umida provenienti dal Mar Tirreno. Che alfabeto di nomi altisonanti accompagna il paesaggio, richiamando un network di parenti: Ancarano, Bellante, Civitella del Tronto, Giulianova, Montorio al Vomano, Sant’Egidio alla Vibrata.
Il titolato Montepulciano d’Abruzzo profuma i bicchieri nei borghi del Teramano, accompagnando il rinnovare degli erculei dialetti ereditati da nonno a nipote. Un fresco Pecorino o una sbarazzina Passerina accontentano gusti ormai cittadini, più esigenti, ma in grado di trovare anche nella terra d’origine, amaramente lontana, le indubbie affinità.
Le mitiche polpettine di carne di nonna Michelina, gli immancabili arrosticini, i formaggi rimediati presso qualche pastore del luogo, forse da Zeno, i ravioli fatti con le castagne e poi il vino, indispensabile, segno di socialità, di beatitudine, di gioia di vivere, di una continuità assicurata da quei pochi ma indispensabili giorni nei borghi d’origine.