L’ex presidente della Banca centrale europea ed ex presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato una ricerca, commissionata circa un anno fa dalla Commissione europea, sulle cause della crisi di competitività dell’Unione europea. L’interessante documento, denominato “Il futuro della competitività europea” ma definito sinteticamente ed efficacemente dai media “Rapporto Draghi”, è uno studio di quasi 400 pagine redatto dall’economista con un gruppo di colleghi.
Il testo analizza le molteplici e attualissime criticità del nostro continente, destinato – salvo interventi urgenti – ad un lento e apparentemente inesorabile declino a causa principalmente della stagnazione economica. Il divario nel Prodotto Interno Lordo tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, ad esempio, ha raggiunto il 30 per cento nel 2023, dal 15 per cento del 2002. Le notizie che arrivano dalla Francia e dalla Germania danno conferma di questa tendenza. Tra le cause che hanno accentuato i problemi, il Rapporto indica anche la pandemia e la guerra in Ucraina.
Per invertire il trend, Draghi insiste sulla necessità delle riforme epocali, dal sostegno alle nuove tecnologie e alla digitalizzazione fino alla svolta da accelerare verso le energie rinnovabili, due sfide centrali nella competizione con Stati Uniti e Cina. È citata anche la formazione. Nel contempo è necessario, secondo l’economista, un radicale cambiamento della politica industriale europea.
Gli investimenti in innovazione vedono l’Europa indietro rispetto a cinesi e americani: soltanto quattro tra le 50 principali aziende tecnologiche al mondo sono europee, e quasi un terzo dei cosiddetti “unicorni” europei, cioè quelle imprese che valgono oltre un miliardo di dollari, hanno trasferito la loro sede altrove, principalmente negli Usa.
Sono tutti passaggi essenziali per continuare a garantire agli abitanti europei lo stato sociale e il benessere di cui hanno goduto finora, compresa anche l’essenza democratica dei nostri sistemi.
Draghi punta anche sul fattore temporale: «Due sono le parole chiave di questo rapporto: urgenza e concretezza», ha detto all’inizio della sua presentazione.
Lo studio conclude che servirebbero investimenti annuali fino a 800 miliardi di euro per raggiungere gli obiettivi, cifra pari al 4,5 per cento del Pil dell’Unione europea, una sorta di Piano Marshall, cominciando a valutare uno strumento di indebitamento comune tra gli Stati europei: «Gran parte di questi obiettivi non sono nuovi. Molti stati membri li stanno perseguendo da soli, ma così facendo stiamo in un certo senso minando il nostro potere. Potremmo fare molto di più se ci muovessimo come una comunità – ha detto l’ex presidente del Consiglio.