La crisi ucraina

Domenico Mamone
24/02/2022
Tempo di lettura: 3 minuti
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Una parata militare a Kiev in occasione della Festa dell’indipendenza

I tanti “esperti” che sconfessavano l’ipotesi di una possibile invasione armata dell’Ucraina da parte della Russia sono stati puntualmente smentiti. In queste ore, molte città ucraine sono sotto assedio e le prospettive saranno ovviamente nefaste sia per l’alto numero di vittime militari e civili di questa operazione bellica sia per le conseguenze in termini di profughi (stime attendibili parlano di almeno cinque milioni di persone) sia per le ricadute economiche per l’intero pianeta, in particolare per noi europei.

L’obiettivo dichiarato nel suo discorso alla nazione da parte di Putin, il novello zar che conta anche sull’alleanza con la Cina fresca di rinnovo, è quello di “difendere le persone che sono state vittime degli abusi e del genocidio del regime di Kiev” e di “demilitarizzare” l’Ucraina. Il riferimento è principalmente al cambio di governo del 2014, dopo la “discussa” sostituzione del presidente filorusso Viktor Yanukovich con un esecutivo filoeuropeo. Ma, ovviamente, i richiami storici sono più profondi in quanto l’Ucraina, soprattutto la parte orientale, costituisce di fatto l’embrione della Russia ed è rimasta nell’Unione Sovietica fino al crollo del 1991. Non va poi dimenticato il ruolo della chiesa ortodossa, affiliata al patriarcato di Mosca. Mentre la parte occidentale ha avuto una storia diversa, con tre secoli sotto il Regno polacco, poi austro-ungarico, quindi in parte in mano all’Urss e in parte alla Cecoslovacchia. E ad Ovest molti sono i cattolici.

È evidente che in questi ultimi anni la Russia abbia puntato soprattutto a scongiurare del tutto l’ingresso dell’Ucraina, con i suoi 45 milioni di abitanti, nella Nato e ad annientare la presenza militare occidentale nella regione, che proprio la Nato ha fortificato nell’ultimo decennio, specie dopo l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Paesi come Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania.

Sembra di tornare indietro nella storia, nell’epoca di massimo splendore dei nazionalismi. E ciò è davvero paradossale. Ma l’Europa, anche in questa occasione, appare impreparata: i canali diplomatici e la strategia delle sanzioni hanno evidenziato tutto il loro fallimento.

L’incertezza che sta caratterizzando anche questa fase sta provocando sconquassi economici già visibili non solo nelle Borse: i prezzi del petrolio, che ha raggiunto i 100 dollari al barile per la prima volta dal 2014, e dell’oro sono aumentati sensibilmente. Ennesima livitazione di costo anche per il gas naturale, di cui la Russia è uno dei principali fornitori per i Paesi europei e che mette a rischio la copertura per la prossima stagione invernale. E continua a crescere anche il prezzo del grano. Una situazione che mina la ripresa post-pandemica e lacera tessuti sociali già messi a dura prova da due anni di Covid.

Domenico Mamone