“Io ero il Milanese”, l’esemplare storia dell’ex detenuto Lorenzo Sciacca

Giampiero Castellotti
08/03/2024
Tempo di lettura: 7 minuti
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Nell’ambito degli appuntamenti del cammino per la Quaresima 2024 «Dov’è tuo fratello?», promossi da Caritas Roma e dall’Ufficio diocesano per la pastorale carceraria, nella Sala Mensa della Cittadella della Carità “Santa Giacinta”, in via Casilina Vecchia 19, ha avuto luogo l’incontro con Lorenzo Sciacca, 47 anni, un passato di rapinatore seriale di banche, oggi mediatore penale e sociale, in prima linea per la causa della giustizia riparativa, nonché protagonista del podcast RaiPlay Sound e dell’omonimo libro “Io ero il Milanese” di grandissimo successo.

Dal titolo “La forza per rinascere”, l’incontro ha messo in luce la storia di Lorenzo che, dopo lunghe presenze in carcere, è diventato un uomo libero e ha fatto proprio della giustizia, tanto “odiata” in passato, la sua più grande passione.

La storia di Lorenzo è emblematica di come un uomo possa demolire totalmente il suo passato di criminale e diventare una sorta di “angelo” per tanti detenuti che fuoriescono dalla propria condizione carceraria con non pochi sacrifici.

Nato a Milano, trasferitosi con la famiglia in un quartiere problematico di Catania quando aveva dieci anni, ha iniziato da piccolo a commettere reati, specializzandosi in rapine in banca, la prima a 14 anni con la prima condanna penale. “Vengo da una famiglia difficile, mio padre in carcere, un ambiente urbano degradato e ad alto tasso di criminalità. Ma non mi posso dare alibi, altri hanno fatto scelte di vita diverse, io quella più facile – racconta in apertura dell’incontro.

Il bilancio di quella scelta sono 20 anni di carcere. girando una trentina di penitenziari in Italia. “Sì, perché non ho avuto mai bei comportamenti – commenta.

Parla della vita in cella, noiosa, dove i vocabolari sono ridotti, si discute sempre di giudici e avvocati, di calcio, di qualche programma televisivo. Spesso una sola ora d’aria, il sovraffollamento, il regime duro. Le privazioni sono infinite, principalmente relazionali, umane, come quando ti viene negato persino di andare a visitare i genitori malati o di partecipare ai loro funerali. Poi la svolta.

“Nel carcere di Padova, all’avanguardia, aperto alla società, una sorta di premio, ho iniziato quasi casualmente un percorso che ha cambiato la mia vita – racconta Lorenzo. “Sono stato coinvolto nella redazione di ‘Ristretti orizzonti‘, il giornale del carcere, diretto dalla ‘leonessa’ Ornella Favero. All’inizio ero scostante, volevo quasi gettare la spugna. Ma a stimolarmi di andare è stato il mio compagno di cella, Lorenzo Bertani, anche lui un ex rapinatore di banche ormai settantenne, con cui condividiamo lo stesso dolore per la perdita di un figlio con la stessa malattia”.

Dal confronto nascono semi che genereranno frutti. “All’inizio ero refrattario perché saldamente ancorato nelle mie convinzioni – continua. “Vedevo i miei reati con una sorta di nobiltà, quasi sentendomi un Robin Hood: io rapinavo banche, ma trattavo tutti bene, una volta portai persino un bicchiere d’acqua ad una signora che si sentì male. Mi chiamavano il ‘rapinatore gentiluomo’ e ciò accresceva il mio ego. Pensavo che in fondo l’assicurazione risarciva la banca e io rimettevo i soldi in circolazione con i miei continui acquisti. Non credevo di avere vittime, mentre è stata proprio la direttrice del giornale a spiegarmi che con il mio reato infliggevo 40 secondi di paura a tanta gente. Ho cominciato a capire che tutti i reati provocano comunque vittime. La direttrice mi mise una sola condizione per quei colloqui: a te viene concessa la libertà di parola, ma la stessa libertà di parola la avevano anche gli altri. Ecco l’inizio di un percorso di dialogo”.

La consapevolezza di poter cambiare la vita cresce in Lorenzo. L’aiutano, in questo difficile percorso, una serie di incontri.

“All’interno della redazione – racconta – c’era un ex direttore di banca detenuto per aver aggredito di notte a coltellate la compagna e il figlio prima di tagliarsi la gola. Lei muore, il figlio dopo una lunga ospedalizzazione si salva, anche lui sopravvive ma con problemi alle corde vocali. Io, fedele al codice carcerario, quando lo incontro per la prima volta lo minaccio di non sedersi mai vicino a me. Mi colpì però il fatto che il figlio lo andava a trovare puntualmente ogni settimana, dichiarando che per lui il padre era quella brava persona che aveva conosciuto prima di quel raptus. Quella storia mi colpì e mi è sorta un’angosciante domanda: chi sono io per giudicare”.

Un altro incontro decisivo è stato quello con un avvocato d’ufficio. Studiando il suo fascicolo, si accorge che non gli è stato applicato l’istituto della continuità del reato che determina un trattamento più favorevole al reo. Così nel 2017 gli viene accolto il ricorso, e dopo oltre vent’anni di detenzione gli si riduce la pena di altrettanti anni. Sarebbe dovuto uscire nel 2037.

“Grazie all’aiuto di alcuni volontari, ho deciso di demolire l’aspetto criminale e mi sono letteralmente ricostruito, mattone dopo mattone – spiega. Si rimette a studiare, annulla la sua presunzione, impara ad ascoltare gli altri. Per cinque anni incontra quasi tutti i giorni gli studenti, a cui racconta la sua storia. Un percorso stancante, ma proficuo. Le domande dei ragazzi gli toglievano il sonno, racconta. Poi c’è il primo compito che gli viene assegnato al giornale, sbobinare e trascrivere le storie che i detenuti mandano alla redazione. Una scoperta continua.

Poi un’altra svolta, l’incontro con la giustizia riparativa. Nel corso di una mediazione penale a cui aveva partecipato quando era ancora in carcere, i responsabili del programma rimangono colpiti dal suo talento. Grazie al criminologo Adolfo Ceretti, uno dei massimi esperti di giustizia riparativa, gli viene offerto di partecipare ad un corso di 200 ore di preparazione per mediatori penali. Oggi quel percorso si fa attraverso un Master universitario.

Lorenzo racconta l’esperienza della giustizia riparativa, regolata oggi dalla riforma Cartabia. “Il percorso deve essere sempre avviato dall’autorità giudiziaria – spiega. “Gli strumenti che la giustizia riparativa mette in campo sono molteplici. Qualora si decidesse per il percorso di mediazione, si organizza un iter per arrivare all’incontro tra l’autore di un reato e la sua vittima. Si lavora su valori ed emozioni, il principale strumento a disposizione è l’ascolto empatico. Attraverso storie caratterizzate da tanto dolore, odio, rabbia, desiderio di vendetta si arriva ad un vero e proprio atto di trasformazione. Ma occorre stare accorti a ben gestire l’affiorare degli inevitabili sensi di colpa”.

Capita che un reo accetti l’incontro, ma la sua vittima no. O viceversa. Ebbene, in questo caso la giustizia permette di sostituire la vittima o il reo con una persona che ha vissuto l’analoga esperienza. “Ho vissuto il caso di una persona accusata di oltraggio a pubblico ufficiale. Lei era disponibile alla mediazione, il carabiniere no. Così, attraverso un’associazione dell’Arma, abbiamo individuato un ex carabiniere in pensione che aveva subito lo stesso reato e si trovava per questo in carrozzina. Attraverso questa esperienza, il reo ha potuto comprendere le conseguenze del suo gesto – racconta Lorenzo.

Il podcast di Lorenzo Sciacca su Ray Play Sound (https://www.raiplaysound.it/programmi/ioeroilmilanese) è stato ascoltato da oltre due milioni di persone. A seguito anche di ciò, Mondadori ha richiesto un libro ed è nato “Io ero il Milanese”, che così viene presentato: “Lorenzo entra in carcere per la prima volta a 10 giorni. A 12 anni compie il primo furto, a 14 la prima rapina. Per oltre 40 anni vive da fuorilegge, passando gran parte del tempo in carcere. A 33 anni riceve una condanna a 57 anni di carcere, ma la sua vita prende un’improvvisa svolta, fino al lieto fine più inaspettato. È la storia di un uomo che solo attraverso il confronto con gli altri, ha avuto la possibilità di salvarsi”.

L’autore del libro, l’attore teatrale Mauro Pescio, scrive di lui: “Ho conosciuto Lorenzo nell’estate del 2017. Era uscito dal carcere da una decina di giorni. Durante il nostro primo incontro, durato qualche ora, mi ha raccontato in sintesi tutta la sua vita, da quando era entrato in carcere la prima volta a pochi mesi, a trovare suo padre, a quando era uscito come un uomo nuovo di 40 anni, in quel luglio 2017, trasformato in una risorsa per la società. Io ero il milanese è il racconto di un uomo che nella vita ha fatto tante scelte sbagliate, un uomo con cui la sfortuna si è accanita, un uomo che ha toccato il fondo, ma che da quel fondo si è rialzato. È la storia di come non debba mai venire meno la speranza, la fiducia e soprattutto di come si debba sempre offrire un’altra possibilità”.

Giampiero Castellotti