L’omicidio in una strada di New York dell’amministratore delegato di UnitedHealthcare, una delle più importanti aziende di assicurazioni sanitarie (con un valore di mercato di 519 miliardi di dollari e un fatturato di 281 miliardi di dollari), presenta un risvolto emblematico. Sui social molti commenti plaudono il barbaro atto come una sorta di giustizia popolare contro le odiate assicurazioni sanitarie, palesando una soddisfazione collettiva per la vendetta e un desiderio di rivalsa. Addirittura il post della stessa azienda, da quando si apprende dai media, avrebbe ricevuto oltre 23 mila reazioni in poche ore con moltissimi commenti sarcastici, tra cui l’ipotesi che UnitedHealthcare non avrebbe rimborsato l’ambulanza nemmeno al proprio amministratore delegato. Il post è stato poi rimosso.
Tra i commenti, come riporta il Post, quello di una donna che ha raccontato la sua esperienza proprio con UnitedHealthcare: suo figlio di un anno doveva essere operato d’urgenza per un tumore al cervello ma l’assicurazione si è rifiutata di coprire il trasferimento in ambulanza. La donna ha concluso il video dicendo: «Non giustifico la violenza in nessun modo, ma non ho dubitato nemmeno un secondo di quale fosse il movente del sospettato».
Le esperienze negative con le compagnie assicurative sono tantissime e in queste ore i racconti si moltiplicano. Il presunto assassino, l’italo-americano Luigi Mangione, è diventato una sorta di eroe: online sono state messe in vendita magliette, tazze, felpe e adesivi con ritratti stilizzati di Mangione.
A Washington Square Park a New York si è svolta persino una gara di sosia del presunto assassino per far capire all’opinione pubblica “l’iniquità del sistema sanitario statunitense”.
Addirittura, come evidenzia il sito 404 Media, nelle pagine online delle compagnie sanitarie private sono scomparsi i nomi e le cariche dei dirigenti.
Da tutto ciò emerge il diffuso malcontento contro le società private di assicurazione sanitaria e c’interroga sulla tendenza, crescente anche in Italia, ad “imitare” il modello americano, come purtroppo succede ormai in moltissimi settori, dalla politica alla cultura.
Negli Usa, è noto, la sanità pubblica è minoritaria rispetto al modello delle assicurazioni private, per cui milioni di americani sono di fatto esclusi dalle costose cure. E molti assicurati non ottengono i rimborsi per diversi motivi, dai trattamenti non coperti dalla polizza al nosocomio che non fa parte del network degli ospedali con cui lavora l’assicurazione.
Secondo un’indagine di ProPublica, le compagnie assicurative americane rifiutano quasi il 15 per cento delle richieste di cure (anche con sotterfugi) e una prestazione privata, dai costi altissimi, può mandare in rovina una famiglia. Più di 250 milioni di richieste di risarcimento vengono respinte ogni anno dalle mutue private.
Diversi film, anche di successo, hanno denunciato il problema, come il celebre “L’uomo della pioggia” di Francis Ford Coppola con Matt Damon e Danny DeVito, che racconta la storia di un avvocato che s’imbatte nel corporativismo delle assicurazioni durante la difesa della famiglia di un malato di leucemia a cui l’assicurazione non vuole riconoscere il legittimo risarcimento.
Il nostro Servizio sanitario nazionale, nonostante gli inevitabili limiti e le disparità tra le regioni, resta un’eccellenza internazionale. Benché sempre più prestazioni siano a pagamento per attenuare i crescenti costi e la qualità complessiva tenda a scendere, le differenze con la sanità privata restano per lo più rilevanti. Purtroppo in molte regioni, specie al Sud, la politica locale viene accusata di favorire il privato rispetto al pubblico, determinando in particolare quelle “migrazioni sanitarie” per le cure verso gli ospedali del Nord Italia che tanti disagi determinano nelle famiglie meridionali. Occorre difendere strenuamente la sanità pubblica, affinché – tra l’altro – episodi decisamente condannabili come quello del “giustiziere” americano non vengano emulati in futuro anche nel nostro Paese.