Il datajournalist applicato al Covid-19

Maria Di Saverio
01/07/2022
Tempo di lettura: 14 minuti

L’Ufficio comunicazione del sindacato datoriale Unsic (con oltre tremila uffici in tutta Italia e circa 1.700 dipendenti), oltre ad occuparsi della gestione del portale internet e degli altri siti informativi dell’organizzazione, nonché delle pubblicazioni cartacee, dal mensile Infoimpresa ai Quaderni monotematici, effettua da sempre analisi e ricerche applicando il datajournalism.

In particolare, sin dalla comparsa in Italia della pandemia da Covid-19, ha valutato l’importanza del giornalismo dei dati non solo per indagare il complesso e talvolta misconosciuto fenomeno pandemico attraverso la statistica descrittiva, ma anche per divulgarne specifiche componenti tramite l’immediatezza e la chiarezza della rappresentazione grafica e di una comunicazione lontana dai tecnicismi burocratici e scientifici.

L’attenzione maggiore si è concentrata sul settore scolastico, causa anche le carenze istituzionali – in particolare da parte del ministero dell’Istruzione – nella diffusione di dati e statistiche sull’impatto della pandemia nelle aule. Il ministero ha diffuso dati per meno di un mese ad inizio anno scolastico 2020/21, fino al 10 ottobre 2020: la difficoltà è stata generata anche dal problema che il sistema di tracciamento dei nuovi casi da parte delle autorità sanitarie locali è saltato, impedendo un monitoraggio quanto più possibile accurato sull’origine dei contagi.

I due ricercatori Vittorio Nicoletta, dottorando presso l’Universitè Laval di Quebec City (Canada), e Lorenzo Ruffino, studente di Economics all’Università di Torino, con cui l’Ufficio comunicazione dell’Unsic ha collaborato, hanno promosso nello stesso periodo una raccolta autonoma di dati, soprattutto monitorando organi d’informazione locali, per rilevare i contagi nelle scuole. La meritoria iniziativa, ovviamente utile più per osservare le tendenze che non per oggettivare il dato, s’è fermata dopo qualche settimana a causa dell’esplosione dei contagi e della difficoltà nel rilevare e assembleare numeri crescenti e rilevanti.

Va detto, in premessa, che il numero – sempre molto approssimativo, a causa anche degli asintomatici – dei contagiati nelle scuole non mette automaticamente sotto accusa l’ambiente scolastico come fonte di contagio. Cioè non riguarda solo coloro che si sono contagiati “a scuola”, ma studenti, professori e personali scolastico contagiatosi anche al di fuori dell’ambiente scolastico (assembramenti davanti agli istituti, mezzi di trasporto, domicilio, ecc.), comunque possibili fonte di nuovi contagi. Pertanto, in termini assoluti, non è possibile accertare con precisione un rapporto causale tra l’apertura delle scuole e l’aumento dei contagi soltanto mediante la correlazione di questi due fenomeni.

L’IMPORTANZA DI STIME E PROIEZIONI. L’intuizione iniziale dell’Ufficio comunicazione dell’Unsic, guidato dal giornalista professionista Giampiero Castellotti, è stata quella di dare rilevanza, rispetto ai dati diffusi quotidianamente da varie fonti istituzionali e non (utilizzati solo con criterio orientativo), a stime e proiezioni basate sul valore di alcuni parametri e campioni.

I dati, infatti, ad esempio quelli sui contagi giornalieri, benché acquisiti come “esatti” da molti organi di comunicazione, sono stati sempre parziali e talvolta fuorvianti a causa principalmente – ma non solo – dell’emersione della presenza di “asintomatici”, rilevata in particolare dal microbiologo professor Andrea Crisanti. Il numero totale giornaliero dei contagiati (talvolta deficitario anche di singoli dati regionali, poi recuperati a distanza di giorni), diffuso nella seguitissima conferenza stampa quotidiana del commissario all’emergenza Arcuri e dei rappresentanti del Cts e della Protezione civile, è stato utile più per rilevare i trend che non come dato assoluto. Parimenti il numero giornaliero totale dei decessi per Covid in Italia è orientativo ma non effettivo, in quanto assembla i decessi “per Covid” con i decessi “con Covid”, tra loro dai confini molto labili.

L’operazione effettuata dall’Ufficio comunicazione dell’Unsic è stata quella di incrociare più dati (ministeri, Iss, Istat, Asl, Cnr, Gimbe, Censis, ecc.) e procedere con stime e proiezioni, che talvolta hanno anticipato con esattezza quelle realizzate da qualificate istituzioni.

È stato il caso della stima, da parte dell’Ufficio comunicazione dell’Unsic, di 105mila contagi dal 14 settembre 2020, giorno della riapertura delle scuole, ai primi di novembre 2020 (l’articolo della testata Orizzonte Scuola, leader di settore), dato analogo a quello diffuso successivamente dall’Istituto superiore di sanità (102.500) per la fascia 0-20 anni (il dato 0-5 anni, estraneo alla scuola, è compensato dai docenti contagiati, circa il 20 per cento del totale). In questo caso, la stima dell’Ufficio comunicazione dell’Unsic è stata armonizzata rispetto all’apertura delle scuole non uniforme sul territorio nazionale e raffrontata con l’incidenza della popolazione scolastica su quella complessiva nazionale, risultando superiore circa il 16 per cento del totale dei contagiati.

La stima dei contagi nelle scuole effettuata dall’Unsic a novembre 2020

Tale monitoraggio dei contagi scolastici, condotto costantemente nel corso di circa un anno, è diventato un punto di riferimento per numerosi organi d’informazione (qui gli articoli del Corriere della Sera dell’8 febbraio 2021 e della Stampa del 9 febbraio 2021).

Evidenziando, con la propria attività di datajournalism, il “peso” che comunque la scuola ha avuto nella diffusione del contagio, l’Ufficio comunicazione dell’Unsic, pur consapevole dell’importanza della “scuola in presenza” rispetto a quella “a distanza”, nella fase di massima emergenza – andando anche controcorrente rispetto al mainstream – s’è sempre dichiarato a favore della Dad (Didattica a distanza). E proprio per rispondere ad istanze provenienti “dal basso”, in particolare dalle sedi locali dell’organizzazione sindacale, ha promosso anche una petizione a sostegno della Dad in fase emergenziale, su Change.org, che ha raggiunto ben 225mila adesioni, una delle petizioni italiane più “partecipate” nella storia del portale (l’articolo che la testata Open di Enrico Mentana del 7 gennaio 2021 ha dedicato alla petizione, quello sul quotidiano Il Tempo del 16 gennaio 2021, quelli sulle riviste Oggi Scuola e La Tecnica della Scuola del 17 gennaio 2021, quello su Orizzonte Scuola del 28 gennaio 2021).

Alcune riviste nazionali hanno intervistato Giampiero Castellotti, responsabile dell’Ufficio comunicazione dell’Unsic, per un confronto sui dati diffusi. E’ stato il caso del settimanale DiPiù del 1 febbraio 2021, che lo ha messo a confronto con l’infettivologo Massimo Galli e con Mario Rusconi, presidente dell’Associazione nazionale presidi.

La notizia della petizione è stata riportata dai massimi organi d’informazione: Next Quotidiano del 16 dicembre 2020, Sky Tg24 del 24 dicembre 2020, Fanpage, Il Messaggero e l’Ansa del 29 dicembre 2020, Il Gazzettino del 30 dicembre 2020, Secolo d’Italia del 31 dicembre 2020, La Gazzetta del Sud del 1 gennaio 2021, Il Fatto Quotidiano, Huffington Post, Il Corriere della Sera (ore 12,09), Il Sole 24 Ore (ore 12,17) del 3 gennaio 2021, Il Resto del Carlino del 5 gennaio 2021. Ed altri ancora.

I CONTAGI PER RESIDENTI: L’ABBATTIMENTO DEI LUOGHI COMUNI. Rispetto ai numeri assoluti, in questa logica, l’Ufficio comunicazione dell’Unsic ha preferito utilizzare il datajournalism principalmente per far risaltare e, in qualche modo, anticipare i trend della pandemia, fedele alla logica del suo andamento sinusoidale.

Così l’Ufficio comunicazione dell’Unsic, evidenziando i contagi per residenti, ha ridimensionato alcune certezze mediatiche (ad esempio, “Bergamo la provincia più colpita” o “gli ospedali quali maggiori fonti di contagio”, che ha bloccato l’attività sanitaria extraCovid).

Ad aprile 2020, tenendo conto di questo rapporto tra numeri diffusi come “assoluti” (in realtà imprecisi, ma orientativi nel confronto tra province) e numero di residenti/abitanti, dall’analisi dell’Unsic, effettuata poco meno di un mese dopo la drammatica sfilata dei camion militari a Bergamo che ha caratterizzato la città lombarda come “capitale del contagio”, in realtà è emerso che la regione più colpita non era la Lombardia, ma la Valle d’Aosta, con il Trentino-Alto Adige al terzo posto. Ciò rende probabile il peso della stagione sciistica nella diffusione dei contagi nella prima fase della pandemia, contesto di cui s’è parlato in realtà poco.

Le prime tre province risultavano nell’ordine Cremona, Piacenza e Lodi, limitrofe tra loro, quindi vero epicentro della pandemia in Italia (qui l’articolo di Piacenza Online dell’11 aprile 2020). E se Bergamo e Brescia occupavano quarta e quinta posizione, non c’era Lombardia nei posti dal sesto al decimo: Aosta (sesta), Reggio Emilia (settima), Pesaro-Urbino (ottava), Mantova (nona) e Parma (decima).

Questo semplice lavoro di datajournalism, oltre a sfatare “luoghi comuni”, ha anche evidenziato le radicali differenze tra Nord e Sud Italia nella distribuzione del contagio. Agli ultimi posti della classifica, infatti, si sono collocate province sarde e siciliane: il Sud Sardegna, Oristano e Ragusa all’ultimo posto; Agrigento, Palermo, Nuoro, Siracusa e Trapani al penultimo. In fondo alla classifica anche la Calabria e la bassa Puglia.

Un quadro che rafforza l’attenzione al ruolo della morfologia territoriale e alle caratteristiche sociali delle località colpite nella diffusione del contagio.

COVID E INQUINAMENTO. Proprio le grandi disparità della diffusione del contagio tra i territori italiani ha spinto l’Ufficio comunicazione dell’Unsic, a maggio 2020, ad indagare sulla correlazione tra inquinamento e tassi di contagio.

In questo caso sono state prodotte due mappe: una con i dati della Protezione civile sull’incidenza dei casi di coronavirus (rielaborati in base al numero dei residenti per provincia); l’altra sul “peso” dell’inquinamento, sempre per provincia, frutto dell’assemblaggio e della rielaborazione dei dati sulla presenza dei vari tipi di particolato.

Tre i temi approfonditi. Il primo sull’eventuale presenza del virus nell’aria inquinata: una tesi sostenuta da diversi ricercatori, tra cui quelli della Società italiana di medicina ambientale, che con una ricerca (la ricerca Sima) dimostrano che frammenti di Rna del Sars-Cov-2 sono nel particolato atmosferico, cioè nel Pm, e questo fungerebbe da veicolo (carrier) e amplificatore (boost). Pur riconoscendo la presenza del virus nel particolato atmosferico insieme a particelle biologiche (batteri, spore, pollini, funghi, alghe, ecc.) gli avversatori della teoria ritengono tuttavia poco probabile che possa mantenere intatte le proprietà infettive dopo una permanenza più o meno prolungata nell’ambiente aperto.

Il secondo tema: dal momento che l’inquinamento generato da un’alta concentrazione di particolato influisce sul sistema respiratorio o su quello cardiocircolatorio – su questo non ci sono dubbi – finisce per renderli più suscettibili alle complicanze della malattia. E sulla necessità di ridurre l’inquinamento c’è concordanza tra gli scienziati.

Il terzo tema investe la relazione tra aree inquinate e alta percentuale di casi di coronavirus in quel territorio. Qui gli scienziati tornano ad essere divisi tra loro, anche perché non è facile stabilire con certezza una relazione.

Assemblando i dati, l’Ufficio comunicazione dell’Unsic ha dimostrato sovrapposizioni abbastanza nette in Pianura Padana, ma pure nell’area settentrionale di Marche, Toscana e Sardegna. Inoltre nel Mezzogiorno, dove il virus ha colpito poco, si confermano i bassi indici complessivi di contaminazione ambientale.

Al contrario, alcune aree inquinate nel Centrosud (ad esempio nel Lazio, in Campania e in Puglia) non registrano percentuali rilevanti di contagi da Covid-19, smentendo quindi la relazione. Emblematico il caso di Taranto o delle tante Terre dei fuochi.

Andando più nel dettaglio, le sovrapposizioni più marcate tra alti indici di contagio e inquinamento riguardano la presenza di allevamenti intensivi.

“Talvolta i tentativi di ascrivere al solo mondo scientifico alcuni argomenti che investono la vita quotidiana di tutti noi, finiscono per produrre ermetici tecnicismi e una babele di posizioni contrapposte – evidenziava Domenico Mamone, presidente dell’Unsic, in una dichiarazione del 13 maggio 2020. “Proprio per favorire un processo di semplificazione e di chiarezza e per assicurare il giusto risalto a tematiche centrali, come quella dell’inquinamento, il nostro Ufficio comunicazione, in una logica ‘open source’, è impegnato a produrre materiali per la libera e utile condivisione”.

“E’ chiaro però – ha concluso Mamone – che il rapporto con l’inquinamento, se confermato, potrebbe costituire solo una tessera di un grande mosaico: sappiamo, infatti, che sono molteplici i fattori che favoriscono la pandemia, dalla mobilità alla prossimità tra persone. Per quanto riguarda l’inquinamento, poi, oltre alla qualità dell’aria, vanno considerate le caratteristiche delle comunità residenti, ad esempio l’età media e le condizioni socio-economiche, nonché lo stato di salute preesistente e la comorbidità”.

I dati elaborati dall’Unsic sono stati richiesti da alcuni docenti dell’Università di Udine, interessati al tema.

Alcuni articoli usciti sulla stampa locale sul rapporto tra Covid e inquinamento, conseguente alla ricerca Unsic con datajournalism: Unione Sarda; La Voce del Trentino; Welfare Cremona; Varese Noi; BSNews Brescia; Telecitynews Piemonte; Sanremo News; Lucca in diretta; Vivere Umbra; Borghi del Respiro Umbria; ChietiToday; Primonumero Molise; Molise News24; Isernia News; Ottopagine Napoli; TheWam Avellino; Giornale di Puglia; Alghero Notizie.

COVID E DECESSI. Un’altra ricerca elaborata dall’Ufficio comunicazione dell’Unsic ha riguardato lo scostamento tra il numero dei decessi generali della popolazione italiana nel 2020 rispetto alla media degli anni precedenti per comprendere – sempre in termini di tendenza – il “peso” del Covid nell’andamento demografico. Anche in questo caso s’è tentato di accertare se il numero dei decessi ufficiali per Covid-19 in Italia, fornito dalla Protezione civile, fosse sottostimato.

Per quanto riguarda le fonti utilizzate, la prima è stata l’Istat. Tre i testi: un report sui decessi per qualunque causa dal 1° gennaio al 21 marzo 2020 in 1.084 comuni; un secondo report sui decessi per qualunque causa dal 1° marzo al 4 aprile 2020 in 1.689 comuni (parte dei 5.909 che compongono l’anagrafe nazionale della popolazione residente), scelti dall’istituto di statistica tra quelli con almeno dieci decessi e un aumento dei morti superiore al 20 per cento rispetto alla corrispondente media del quinquennio 2015-2019. Il terzo documento, “Scenari sugli effetti demografici di Covid-19”, attesta che il totale dei decessi tra il 1° marzo e il 4 aprile nei 5.069 Comuni è stato, nel complesso, superiore del 41 per cento rispetto a quanto osservato per l’analogo periodo del 2019. Scaturiscono ipotesi da un minimo di 34mila ad un massimo di 123mila morti in più nel 2020, con discesa dell’aspettativa di vita alla nascita da 0,42 a 1,4 anni nelle condizioni del modello più sfavorevole.

Altro riferimento è stato il Sistema di sorveglianza della mortalità giornaliera, gestito dal Dipartimento di Epidemiologia dalla Asl Roma 1 su incarico del ministero della Salute. Il rapporto epidemiologico include i dati di 19 città. L’ultimo report, il quinto, aggiornato al 18 aprile 2020, parla di un incremento del 76 per cento della mortalità totale per le città del nord, del 10 per cento per quelle del centro-sud. Altre fonti: le ricerche o le rielaborazioni di Centro studi Nebo, Infodata del Sole 24 Ore, InTwig, Istituto Cattaneo, La Voce, Scienzainrete, Sismg e YouTrend.

Per quanto riguarda la media degli anni precedenti, due variabili sono costituite dal numero dei residenti (di solito decrescente) e dall’invecchiamento della popolazione (con decessi crescenti); nel raffronto con il 2020, che include febbraio, è stato considerato il giorno in più dell’anno bisestile; il dato quotidiano dei decessi Covid-19 spesso è falsato dai ritardi di comunicazione e registrazione, superiori alle 24 ore, come confermavano le stesse Regioni, per cui è stato contestualizzato per settimana. Esistono, poi, le cosiddette “morti indirette”, generate dal caos pandemia che inficia le cure a pazienti con altre patologie. Infine si è tenuto conto che un “decesso Covid”, che coinvolge per lo più persone molto anziane e/o con altre patologie, non è per forza “una morte in più” nel conteggio annuale in quanto potrebbe trattarsi di una scomparsa che avviene soltanto qualche mese prima, per cui una parte dell’aumento dei decessi a fine anno si riequilibra. Infine va tenuto presente che la “quarantena” ha variato – seppur di pochissimo – le percentuali delle cause di morte, riducendo ad esempio gli incidenti stradali o sul lavoro e aumentando quelli domestici.

Tenendo in considerazione tutti questi criteri e utilizzando diverse fonti, l’Ufficio comunicazione dell’Unsic per ricalcolare la cifra, con maggiori indici di affidabilità, anche se naturalmente non di assoluta certezza, ha puntato alla differenza tra il numero dei decessi medi avvenuti negli ultimi anni e quelli totali, nello stesso periodo, del 2020. Da tale risultato ha sottratto il numero delle morti classificate “per” e “con” Covid-19. Il resto è stato “indagato”. Pur con differenze nette tra territori, l’ipotesi è di un 10 per cento in più di decessi.

La tabella Sismg

L’attività dell’Ufficio comunicazione dell’Unsic sui “numeri che non tornano” è stata oggetto di numerosi servizi e interviste su canali televisivi nazionali e locali (il servizio di Studio Aperto su Italia Uno, di Milano Pavia tv e del Fatto Quotidiano tv).

Maria Di Saverio