I maroniti ed il monito della pace

Giampiero Castellotti
29/03/2023
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Il 14 marzo 1978 circa 25mila soldati israeliani irruppero nel Libano per spingere i gruppi militanti palestinesi lontano dal confine con Israele. La cosiddetta “Operazione Litani” procurò circa duemila vittime e 285mila profughi in appena sette giorni.

L’offensiva s’inserì nella sanguinosa guerra civile libanese, che aveva preso il via nel 1975 tra la componente cristiana del Libano, preoccupata dalla decrescente presenza demografica in seguito all’arrivo di oltre 600mila profughi palestinesi, e la componente musulmana, che si sentiva sotto rappresentata nelle istituzioni. In effetti se nel 1932, data del primo e ultimo censimento libanese, oltre dieci anni prima della completa indipendenza, la popolazione del Libano era costituita al 63 per cento da cristiani, in maggioranza maroniti, le ultime stime parlano di un terzo dell’intera popolazione.

Se negli anni Cinquanta e Sessanta il Libano era definito “la Svizzera del medio oriente” quale principale centro finanziario del mondo arabo, con gli anni Settanta saltarono i fragili equilibri delle forze confessionali a causa, appunto, della massiccia immigrazione palestinese proveniente per lo più dalla Giordania.

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Ad accendere la miccia fu un attentato a cui scampò Pierre Gemayel, leader delle Falangi cristiano-maronite. Era il 13 aprile 1975. Poco dopo un commando delle stesse Falangi tese un’imboscata ad un autobus con a bordo cittadini palestinesi, causando 27 morti. L’anno seguente, il 18 gennaio, le Falangi attaccarono la baraccopoli musulmana di Qarantina provocando un migliaio di vittime civili. Due giorni la vendetta palestinese con l’attacco alla cittadina cristiana di Darmur, con almeno 500 morti.

Da allora una vera e propria guerra civile con la parte ovest di Beirut controllata dalle milizie musulmane, quella est e quella centrale dai cristiani e il nord dai siriani, invasori da maggio 1976. Israele procederà ad una seconda invasione nel 1982, anno in cui il 16 settembre avverrà la rappresaglia di Sabra e Shatila con almeno 3.500 palestinesi uccisi.

Ad alimentare il lungo conflitto, che si concluderà soltanto con gli accordi di Taif del 1989, hanno contribuito fattori esterni, in particolare l’intervento di altri Stati decisi a perseguire i propri interessi.

L’omelia di Galbiati

Enrico Rodolfo Galbiati è stato un presbitero e biblista italiano, scomparso nel 2004. In una celebre omelia tenuta l’11 novembre 1978 a Milano, commemorando le vittime innocenti della guerriglia che insanguinava il suolo libanese, ricordò che “per chi legge assiduamente la Bibbia il nome del Libano risuona familiare, come un caro ricordo, altamente evocativo”. In particolare “risuonano le parole del Cantico dei Cantici: vieni con me dal Libano, o sposa; con me dal Libano vieni! Osserva dalle cime dell’Amana, dalle vette del Senir e dell’Ermon. E al Libano la sposa paragona la bellezza dello Sposo, che allegoricamente rappresenta Dio stesso, lo Sposo di ogni anima santa. Il suo aspetto è quello del Libano, magnifico al pari dei cedri”.

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Galbiati, attraverso il passo biblico, ha ricordato che il Libano è Terra Santa in quanto Gesù ebbe a visitare il Libano e vi cercò rifugio, così come i maroniti, che dalle fertili terre attorno al monastero di san Marone nella Siria settentrionale emigrarono verso il sud, dal secolo VII al X, adattandosi alla rude vita della montagna e adattando la montagna, fin allora silvestre, alla loro vita di agricoltori.

“Il Libano, così come si è conformato in mille anni di storia, è una creazione dei maroniti – ricordò Galbiati in quella omelia. “Appunto ai maroniti si deve se, in mezzo a un mare di moschee e di minareti, il Libano s’innalza come un’isola popolata di campanili e di croci… Il Libano è così l’unico paese del Medio Oriente dove il cristiano si sente in casa propria”.

Non a caso il Libano dei maroniti è diventato il rifugio dei cristiani: ortodossi e greci cattolici, siriani e rifugiati armeni si sono sentiti a casa propria. E questa terra è diventata un ponte tra il mondo occidentale e la cultura araba attraverso un lungo rinascimento, la nahda, che ha condotto alla fioritura della nuova letteratura araba, compreso il libanese Kahlil Gibran, autore della meravigliosa raccolta di poesie Il Profeta del 1923, in assoluto il maggior poeta arabo.

Monsignor Galbiati concluse così la sua omelia: “La nostra presenza in questa chiesa vuol essere come un pellegrinaggio di pace, per la concordia delle menti più responsabili, per la pacificazione degli animi, per la soluzione dei problemi internazionali che vi sono implicati, per una pace durevole”.

I maroniti per la pace

La comunità maronita, proprio perché lacerata da quasi due decenni di violenze, è oggi in prima fila a favore del dialogo, della pace e della libertà.

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In occasione del conflitto in Ucraina, i vescovi della Chiesa maronita, in un loro incontro mensile presso la sede patriarcale di Bkerké sotto la presidenza del Patriarca Béchara Boutros Raï, hanno definito la guerra come “una resa alla logica del conflitto e della violenza”.

Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, presiedendo nel Monastero di San Charbel a Roma la messa in rito latino alla presenza del presidente della Repubblica del Libano, Michel Aoun, ha detto a proposito del conflitto in Ucraina: “Se un popolo nella prova, come quello libanese, saprà offrire la sua preghiera per un altro popolo che soffre, certamente il Signore ricolmerà della sua benedizione coloro che lo invocano, perché hanno mostrato di essere fratelli nella prova e nel dolore, e lo saranno ancora di più nella pace e nella riconciliazione che supplichiamo vengano presto”.

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In un recente incontro con gli alunni del Pontificio Collegio Maronita, eretto il 27 giugno 1584 con la bolla papale “Humana sic ferunt” firmata da Papa Gregorio XIII per accogliere i chierici-studenti maroniti a Roma, Papa Francesco ha ricordato la storica instabilità del Medio Oriente in questo tempo “non privo di sofferenze e di pericoli”; un tempo, però, anche “gravido di speranze” in quanto “pastori che non si scoraggiano mai, perché traggono ogni giorno dal Pane Eucaristico la dolce forza dell’amore che sazia”.

Il Papa ha indicato espressamente il desiderio della pace: “Oggi la fraternità e l’integrazione rappresentano sfide urgenti, non più rimandabili, e a questo proposito il Libano non ha solo qualcosa da dire, ma una speciale vocazione di pace da compiere nel mondo. Tra i figli della vostra terra, voi, in modo particolare, sarete chiamati a servire tutti come fratelli, anzitutto sentendovi di tutti fratelli”.

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È la tradizione religiosa cattolico maronita ad indicare oggi costantemente la pace dopo la buia parentesi degli anni Settanta e Ottanta.

In un’intervista alla testata digitale cattolica Aleteia del 29 giugno 2021, l’arcivescovo maronita di Tiro (Libano), Chucrallah-Nabil El-Hage, ha ricordato: “Il Medio Oriente non conosce pace. Le guerre definiscono la nostra regione. Prendete lo Yemen, ad esempio. Ci sono a malapena dei cristiani. Come credenti, però, non possiamo semplicemente scrollarci di dosso il conflitto che vi infuria da anni. La Terra Santa, dall’altro lato, è attualmente scossa da un’altra ondata di violenza. Il conflitto in Siria non si è risolto, né quello in Libia. Il Libano sta soffrendo una grave crisi economica. Il nostro Paese è afflitto da inflazione, disoccupazione e difficoltà di vario tipo. Abbiamo davvero bisogno di preghiere per la pace“.

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Il martoriato Libano ispira parole di pace anche nel mondo laico. Il Generale di Brigata dell’Esercito italiano, Andrea Di Stasio, comandante del contingente italiano in Libano, nel corso di un incontro interconfessionale organizzato nella base “Millevoi” di Shama, ha detto: “Poiché nel futuro ci saranno società multietniche, multiculturali e multireligiose, occorrerà gettare ponti di dialogo per abbattere il muro delle differenze e riconoscere che la diversità non è una minaccia, bensì una ricchezza. Il Libano è una terra in cui la convivenza è un valore irrinunciabile“.

Nel maggio 2015, a fronte della lunga crisi in Medio Oriente che tormenta i popoli di Palestina, Iraq, Siria e Yemen preda della violenza della guerra e in cerca di “una pace giusta, globale e duratura”, lo stesso Patriarca maronita Bechara Boutros Rai, durante l’omelia della messa domenicale, ha ricordato che le prove per la nazione “finiranno solo quando la pace di Cristo regnerà nei cuori e nelle coscienze dei politici ed è per questa intenzione che preghiamo ogni giorno”.

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Lo stesso avevano fatto i vescovi maroniti nel 2008, riuniti sotto la presidenza del patriarca Nasrallah Sfeir, manifestando “costernazione per le violenze degli ultimi tempi”, sottolineando “la necessità di ripristinare la stabilità e la sicurezza, anche per i turisti che scelgono il Libano per le loro vacanze”.

In un’intervista al settimanale Famiglia Cristiana pubblicata il 17 settembre 2006, monsignor Paul Matar, arcivescovo di Beirut, dichiarava con saggezza: “Il popolo libanese è fiero e solido, anche dopo questa guerra irrazionale. Ha resistito a tutte le invasioni e a tutte le incursioni nei suoi affari interni. Drusi, cristiani, sunniti e sciiti hanno forgiato l’identità del popolo libanese, uscito più forte dalla crisi. Durante la guerra ho visto un riavvicinamento delle diverse comunità libanesi. I maroniti chiedono pace”.

Giovanni Paolo II, visitando il “Paese dei Cedri” nel 1997, definì il Libano “più di un Paese, un messaggio”. E quando a settembre 2012 è stato Benedetto XVI a visitare il Libano, i cartelli in lingue araba, francese, inglese e tedesca recitavano all’unisono “La pace sia con voi”.

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Giampiero Castellotti