E il centro?

Domenico Mamone
13/03/2023
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“Dipende da che cosa farà Elly Schlein”. È questa la tiritera che si sente ripetere in questi giorni sulla leader del Pd scelta con un voto della base dall’esito imprevisto. Un’investitura di identità più che di programma. Tanto che le immagini di Enrico Berlinguer tornano ad essere appese nelle residuali sedi dei dem.

Certo, la nuova giovane pasionaria potrebbe rivitalizzare i tanti delusi del fronte progressista. Per ora sta proprio tentando di riassorbire l’astensionismo a sinistra, che non è poco. Ma il piatto della bilancia tornerebbe a pendere più verso quell’anima antagonista, frontista, movimentista, radicale, giacobina, della cosiddetta “sinistra-sinistra”, che storicamente fa parte del dna di circa un quarto degli italiani, che non verso il riformismo, che nel Pd è ormai associato inesorabilmente all’archiviata stagione del “renzismo”.

In fondo, nelle democrazie il ruolo dell’opposizione è nutrirsi di queste pulsioni. Lo sa bene l’avvocato Conte che da un’ostentazione e da un aplomb tutti democristiani, s’è ricavato il suo elettorato nelle fasce più emarginate della popolazione, in particolare con l’efficace bandiera del reddito di cittadinanza.

Ma appunto, tutto dipende da cosa farà Elly Schlein, al di là della disinvoltura e della “freschezza” con cui sta interpretando il ruolo da leader. Perché inseguire gli impulsi del popolo, anziché gramscianamente “educarlo”, può essere rischioso. Ad esempio, dal momento che la maggior parte degli italiani, in particolare quelli progressisti, è contraria all’invio di armi in Ucraina, davvero possiamo lasciare campo aperto a Putin?

C’è una lucida analisi di un tecnico non proprio popolare tra gli italiani: Mario Monti. In un’intervista di oggi a Libero, spiega che il centro non vince le elezioni, ma poi nel governare di fatto convergono tutti su politiche di centro, abbandonando le sirene con cui si ammaliano gli elettori di destra o di sinistra. È ciò che in parte sta succedendo a Giorgia Meloni, passata dal sovranismo al conservatorismo, come ben evidenzia Giovanni Orsina, anche per senso di responsabilità.

La “nuova sinistra” di Elly Schlein dovrà ora passare per la fase delle “sirene”, galvanizzando i suoi fans con l’architettura dei valori (dall’ambientalismo all’agenda Lgbtq+) più che dei progetti, salvo probabilmente riadottare posizioni meno estreme nelle scelte che contano, ad esempio quelle atlantiste. Anche perché i vincoli europei e internazionali sono un dato di fatto.

Questo spostamento di campo, però, sta allargando lo spazio al centro, quell’area di cui in Italia si parla da sempre, ma che sembra di fatto scomparsa da almeno tre decenni. Il problema vero, more solito, è che manca un vero leader moderato in grado di polarizzare i tanti spezzoni degli ex democristiani e dei loro accoliti. Manca, insomma, l’Alcide De Gasperi 4.0 a fronte di un Renzi che sembra aver fatto il suo tempo e di un Calenda che non riesce ad andare oltre le posizioni finora conquistate. Il terzo polo, non lo dimentichiamo, è uscito malissimo dalle regionali lombarde e laziali, benché il voto d’opinione non sia fatto per le prove amministrative locali. Occorrerà capire se la loro più stretta intesa, preannunciata nei giorni scorsi, porterà nuova linfa. Ma un vero decollo è difficile.

Molti elettori di centro, in questa fase, potrebbero convergere proprio sull’attuale governo che, appunto, esprime più moderazione che valori identitari di destra, presenti ma non dominanti. Specie se a sinistra anziché Prodi c’è una certa Elly Schlein.

Domenico Mamone