Concorso per la scuola e polemiche (pretestuose?)

Domenico Mamone
02/04/2022
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Quasi mezzo milione di persone, esattamente 483.583, nei giorni scorsi hanno preso parte al concorsone per diventare personale di ruolo nella scuola. Bandito il 20 aprile 2020 (in piena pandemia) per 26mila posti, il concorso è stato poi esteso a 32mila “vincitori” ed aggiornato a causa dell’emergenza pandemica. In palio l’agognato contratto a tempo indeterminato, il “posto fisso” nel pubblico impiego.

Pur non essendo ancora definitivi i risultati, sembra che la stragrande maggioranza dei partecipanti sia stata bocciata. Secondo i primi dati diffusi dai sindacati in molte regioni e rilanciati da diverse testate del settore, nonché da Il Post, in Puglia, nella classe di lettere, avrebbero passato la prova 87 docenti sui 1.600 partecipanti, cioè solo il 5,4 per cento. Nella classe di tecnologia per la scuola media avrebbero passato il test 150 docenti su 2.000 partecipanti, il 7,5 per cento. In Sardegna e nel Friuli-Venezia Giulia la percentuale dei bocciati sarebbe oltre l’80 per cento. Insomma, una vera e propria ecatombe.

C’è allora da chiedersi: come mai?

Secondo molti candidati, sotto accusa ci sarebbe il modello della prova, un test a crocette basato su domande a risposta multipla. Le accuse: programma troppo ampio e sistema non in grado di misurare la preparazione e la capacità di insegnare.

Eppure, questo tipo di test è quello ormai sempre più diffuso in tutto il mondo. E dalle scuole americane, dove è la prassi nelle verifiche per gli studenti, si sta estendendo anche negli istituti italiani, dove ci sono sempre meno elaborati e più test di verifica. Anche nei concorsi ordinari, ad esempio nei ministeri, il quiz con più risposte è quasi la norma. In effetti è un metodo oggettivo, incontestabile, rapido, soprattutto che previene qualsiasi giudizio personale (anche arbitrario) che potrebbe portare a favoritismi. Tra l’altro il tempo è ampio, con una media di due minuti a risposta.

Sotto accusa, allora, potrebbe finire la difficoltà delle domande o l’eccessivo “nozionismo”. Ma un concorso che deve scremare i numeri dei candidati deve includere un certo grado di complessità, altrimenti ogni prova sarebbe vana e occorrerebbe procedere con altre selezioni.

Nel dettaglio, il punteggio massimo della prova è di 100 punti. Per superarla ne servono 70. Le domande sono 50 e bisogna rispondere in 100 minuti, quindi una ogni due minuti, tempo decisamente adeguato. Vengono attribuiti due punti per ogni risposta giusta e zero per quelle sbagliate o non date: per raggiungere 70 punti serve in sostanza rispondere in modo corretto ad almeno 35 domande su 50. Non proprio una montagna insormontabile, specie per chi ottiene un posto di lavoro a vita e avrà la responsabilità di trasmettere i saperi alle future generazioni.

È ora prevedibile che le almeno 400mila persone che non hanno passato il concorso getteranno benzina sul fuoco. Molti già evidenziano l’immancabile accusa di “nozionismo”, che in fondo resta un po’ vaga (quale dovrebbe essere la domanda ideale?). Altri dicono che i test a crocette presuppongono una dose di fortuna, il che è anche vero, ma se uno conosce le risposte non ha problemi ad inserire quella giusta e a passare la prova, come ha fatto un candidato su cinque, stando alle prime proiezioni.

Davvero sarebbe meglio tornare alla valutazione arbitraria delle commissioni, regno ideale delle raccomandazioni che tanto disastro hanno generato nel nostro malridotto Paese?

Domenico Mamone