Competitività dei settori produttivi: il peso dell’inflazione e della crisi energetica

Vanessa Pompili
07/04/2023
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Lavoro

Permangono persistenti segnali di incertezza sulle prospettive del quadro economico nazionale e internazionale e le conseguenze del conflitto russo-ucraino sui corsi delle materie prime (non solo energetiche) continuano a condizionare gli equilibri economici internazionali e a sostenere spinte inflazionistiche che, almeno in Europa, non si sperimentavano da alcuni decenni. La crisi energetica, inoltre, si è innestata su un tessuto produttivo già colpito dalle conseguenze della pandemia, i cui effetti sono ancora da valutare a pieno. È la fotografia scattata dall’Istat nell’undicesimo Rapporto sulla competitività dei settori produttivi che, attraverso un’analisi macro e microeconomica, fornisce un quadro informativo sulla struttura, la performance e la dinamica del sistema produttivo italiano.

Sul piano macroeconomico, i dati internazionali mettono in evidenza un generalizzato indebolimento della crescita economica: tra il 2021 e il 2022 i tassi di crescita del Pil e del commercio mondiali si sono di fatto dimezzati. Questo tuttavia ha finito per alleviare le pressioni sui prezzi delle materie prime, risultate anch’esse in decelerazione tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023. L’indebolimento ciclico ha riguardato anche l’Italia, praticamente nella stessa misura: nel 2022 la crescita del Pil reale è stata poco più della metà rispetto a quella del 2021. Tale andamento, che ha comunque portato a un pieno recupero dei livelli prepandemici, è stato sostenuto in larga misura dai consumi delle famiglie e dagli investimenti, mentre la domanda estera netta e le scorte hanno fornito un contributo negativo. In particolare, la dinamica degli investimenti lordi in volume, che hanno superato i livelli del 2019, è stata trainata dalla spesa in macchinari e, sotto la spinta del cosiddetto Superbonus 110 per cento, anche da quella in costruzioni, sia residenziali sia non residenziali.

Il ritorno dell’inflazione rappresenta l’aspetto che con maggiore forza si è imposto sullo scenario economico nel corso del 2022. I sensibili rialzi dei prezzi hanno condizionato in modo evidente gli scambi internazionali dell’Italia, divaricando i flussi di import ed export e le dinamiche del commercio in valore e in volume. Il valore delle importazioni di beni ha registrato l’incremento medio più elevato dal primo shock petrolifero degli anni Settanta, superando di una volta e mezza il tasso di crescita delle esportazioni, ma in volume entrambi gli aumenti appaiono sostanzialmente nulli. Sul piano geografico, si osserva una lieve diminuzione delle quantità di beni esportate verso Germania, Francia e Spagna, una flessione marcata dei volumi esportati in Cina e Russia, un aumento delle vendite verso gli Stati Uniti.

Nel 2022 l’andamento dell’inflazione in Italia ha visto, al pari di altri Paesi, un’iniziale fase di accelerazione seguita da una attenuazione nei primi mesi del 2023, in corrispondenza della discesa dei prezzi dei beni energetici. Rimangono, tuttavia pressioni al rialzo in quasi tutte le altre categorie di beni e nei servizi; di conseguenza la componente di fondo continua a rimanere in costante accelerazione, facendo registrare, a febbraio 2023, un valore più che doppio rispetto alla media del 2022. La crisi energetica e l’inflazione da costi che ne è derivata hanno colpito il sistema produttivo italiano in modo trasversale, ma con una certa eterogeneità tra i diversi comparti. Il commercio con l’estero dei settori produttivi ha generalmente evidenziato una dinamica in volume molto meno brillante rispetto a quella in valore, sia per le esportazioni sia per le importazioni; fanno eccezione alcuni comparti del Made in Italy: abbigliamento, pelli e, per quanto riguarda il solo export, anche il tessile e gli alimentari. Le due crisi che hanno caratterizzato il periodo 2019-2022 non hanno invece modificato in misura sostanziale la rilevanza relativa dei principali partner commerciali dell’Italia (Stati Uniti, Germania, Francia, Spagna, Regno Unito, Russia e Cina, che complessivamente spiegano circa la metà dell’export in volume della manifattura): solo in due settori su 23 si segnala un cambiamento del principale mercato di sbocco. Tuttavia emergono tracce di ricomposizione: gli Stati Uniti hanno guadagnato rilevanza in tutti i settori della manifattura, con l’eccezione delle bevande, gli altri mezzi di trasporto e la farmaceutica, a detrimento di Germania e Francia, che perdono peso nelle esportazioni in volume rispettivamente in 12 e 13 settori su 23. Dal lato delle importazioni cresce l’importanza relativa della Cina nell’import in volume di ben 19 comparti manifatturieri, con particolare rilievo negli altri mezzi di trasporto, nei macchinari, nell’elettronica (confermando il suo ruolo di leadership), nella chimica.

Vanessa Pompili