Azienda agricola Maria Bortolotti: dal vigneto alla cantina, rispetto per la campagna

Vanessa Pompili
29/11/2022
Tempo di lettura: 7 minuti

Si definiscono abitanti-viticoltori. In realtà coraggiosi antesignani dell’agricoltura biologica e della viticoltura biodinamica. Quelli dell’Azienda agricola Maria Bortolotti non hanno avuto alcuna esitazione a compiere scelte radicali. Nel 1987 la signora Maria, insieme al figlio Flavio, decide che è tempo “di vivere la vigna” e di aderire al progetto di Giorgio Celli “Vino del parco”, per approdare poi, nel 1992, all’agricoltura biologica con la certificazione AIAB e ICEA. Cruciale anche l’incontro con Alex Podolinsky, uno dei padri della viticoltura biodinamica. Per Maria Bortolotti e Flavio Cantelli fare agricoltura biologica “vuol dire prima di tutto rispettare il territorio consumandolo il meno possibile”.

Siamo a Ponte Ronca, esattamente Zola Predosa, a quindici chilometri a ovest di Bologna, sulle prime pendici dei colli bolognesi affacciate sulla Pianura Padana. Undici ettari di terre rosse e vigneti. Sei di questi circondati da siepi e un ettaro costituito da vitigni “antichi”. Le varietà di vite coltivate sono quelle tipiche delle colline bolognesi: Sauvignon, Pignoletto, Barbera e Cabernet-Sauvignon, vitigni presenti da sempre su questo territorio e nella memoria dei suoi contadini. La resa in uva è intorno ai 60 quintali per ettaro. Il vigneto è circondato da una siepe di essenze autoctone quali roverella, acacia, biancospino, rosa canina, prugnolo con inserimenti recenti di olivello spinoso, viburno ecc. Questo per favorire l’habitat di animali e in maniera particolare di insetti utili. Ai bordi nel vigneto sono stati piantati alberi da frutto: susine, pere, mele, noci, ulivi ai quali aggiungeremo varietà antiche di piante da frutto che non necessitano di particolari interventi antiparassitari. Nelle zone a prato del vigneto crescono erbe spontanee come menta, mentuccia, radicchi e cicorie e altre essenze aromatiche coltivate come salvia, timo e rosmarino.

Dal 2000 le uve dell’azienda Maria Bortolotti vengono trasformate in modo naturale perché siano piena espressione del creato. I terreni vocati, il clima favorevole, la pratica dell’agricoltura biologica, la cura nella selezione dei grappoli, i lieviti autoctoni, l’uso limitato dell’anidride solforosa permettono ai vini di esprimere al meglio il vigneto e la tipicità di ogni annata. Si ottengono così non vini monocordi, in cui un carattere specifico prevale sugli altri, ma un’espressione corale della natura e del territorio.

“Nella nostra azienda – spiegano Maria e Flavio – cerchiamo di aumentare la struttura organica del terreno lavorandolo compatibilmente alle caratteristiche del suolo. Le lavorazioni alternate delle file del vigneto mediante l’ausilio di semplici macchine ‘leggere’ e la crescita di essenze azotofissatrici quali le piante leguminose, favoriscono la creazione di una migliore tessitura del terreno adatta alla riserva di acqua per le radici delle viti. La complessità dell’ecosistema formato dall’insieme di prato, siepi e vigneto è una caratteristica fondamentale per avere una agricoltura più autosostenibile e meno bisognosa di interventi anche dal punto di vista fitosanitario. Un ecosistema molto articolato è anche determinante per la qualità dei vini: la complessità che caratterizza la natura di una vigna così coltivata è fondamentale per la complessità che si cerca nel vino naturale. Un vino ottenuto da una vigna con una grande variabilità nell’ecosistema e lieviti variegati sull’uva sarà sempre un buon vino naturale”.

Il grande rispetto per la natura e i suoi cicli si ritrova in vigneto ed in cantina. La fertilità del terreno è affidata alla corretta gestione dell’inerbimento e al sovescio effettuato con essenze leguminose. La difesa contro le malattie fungine è effettuata mediante trattamenti con sali di rame e zolfo in ridottissime dosi.

Da luglio a ottobre i grappoli vengono selezionati affinché solo quelli più dotati di colore e zuccheri e quelli più maturi rimangano sulla pianta. La vendemmia avviene manualmente, ad ottimale maturazione fenolica dell’uva (cioè a ottimale maturazione anche di bucce e semi) che ha il vantaggio di avere bucce dotate di ricca flora batterica e di buoni lieviti autoctoni: i lieviti che cantina fermentano il mosto in cantina sono sempre quelli presenti in campagna sulla buccia dell’uva. Grande attenzione viene prestata ai tempi di macerazione che permette di limitare al massimo l’uso dell’anidride solforosa.

Il vino bianco

Appena arrivata dalla vigna l’uva viene messa intera in pressa per ottenere la separazione del mosto (succo) dalle parti solide del grappolo (raspo, bucce, vinaccioli). Una sosta di alcune ore agevola la decantazione delle parti grossolane ancora presenti nel mosto (parti della “polpa” dell’uva). Travasato il mosto pulito in un’altra botte si avvia la fermentazione utilizzando il mosto lievito ottenuto dalla macerazione di uva (che è stata vendemmiata qualche giorno prima) diraspata e pigiata il cui succo è rimasto a contatto con la buccia (sulla buccia dell’uva i lieviti sono naturalmente presenti). Il lievito è il “personaggio principale” nella storia della trasformazione del mosto in vino: è un microrganismo (un fungo) che consuma lo zucchero presente nel mosto trasformandolo fondamentalmente in alcool e anidride carbonica. Quando il lievito ha trasformato tutti gli zuccheri la fermentazione cessa: dopo qualche travaso e un necessario periodo di maturazione abbiamo finalmente il nostro vino bianco. Talvolta, ultimata la fermentazione, il vino viene mantenuto a contatto della feccia “sottile”: praticamente il lievito non viene allontanato (come si farebbe normalmente) ma anzi tenuto in sospensione nel vino che ha fermentato. Questa pratica viene sempre adottata per i vini bianchi fermentati in barriques ed ha la funzione di migliorare il corpo del vino aumentandone spessore e rotondità.

Il vino rosso

Se per il vino bianco si separa subito il succo dalle bucce nel caso del vino rosso avviene tutto il contrario: poiché il colore e i tannini utili per l’invecchiamento sono contenuti nella buccia dell’uva. Si procede con la classica vinificazione in rosso: l’uva viene diraspata e pigiata, il pigiato (mosto e bucce) viene messo a fermentare. Il calore sviluppato dalla fermentazione, l’alcool e i rimontaggi favoriranno l’estrazione delle sostanze che desideriamo avere nel vino dalle bucce. Dopo un prolungato periodo di macerazione si isola il mosto in fermentazione dalle bucce e si lascia procedere la fermentazione fino a trasformazione completa degli zuccheri in alcool. Finita la fermentazione alcolica si cerca di evitare il raffreddamento del vino al fine di agevolare la fermentazione malolattica (si tratta di una fermentazione condotta da batteri che demoliscono l’acido malico in acido lattico). Ultimata questa fermentazione il vino risulterà meno acido e quindi più rotondo. Eseguiti i necessari travasi si indirizza il vino all’invecchiamento che avviene in parte in vasche di acciaio e in parte in fusti di legno da 220 o 500 litri. Dopo almeno un anno di invecchiamento si procede all’imbottigliamento.

Il vino passito

E per chiudere, Dolcedò, un vino passito bianco e dolce. Il percorso produttivo è il medesimo che si segue per ottenere il vino bianco, la differenza è insita nello stato dell’uva. Questa infatti è stata appassita sulla pianta e/o in cassette. L’appassimento porta all’evaporazione dell’acqua e la conseguente concentrazione degli zuccheri dell’uva. Fare un buon appassimento vuol dire arrivare alla concentrazione zuccherina che desideriamo senza che la buccia dell’uva subisca importanti lesioni da parte delle muffe: il grappolo deve essere appassito ma asciutto. Ottenuto il giusto grado di appassimento si procede con la vinificazione in bianco. Solo che invece di arrivare alla completa trasformazione degli zuccheri in alcool si ferma la fermentazione (semplicemente spegnendo la fonte di calore che permette ai lieviti di non addormentarsi per il freddo) quando si raggiunge il rapporto prefissato alcool/zuccheri. Dopo la maturazione sul lievito, gli opportuni travasi e un periodo di maturazione in vasche d’acciaio o in fusti di legno si può degustare l’ottimo passito.

Vanessa Pompili