All’orizzonte una rivoluzione energetica

Domenico Mamone
05/05/2022
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Tra le molteplici e approfondite riflessioni che la guerra in Ucraina sta generando in tutti noi, c’è l’accresciuta consapevolezza del ruolo sempre più determinante che l’energia elettrica riveste per la nostra quotidianità. In particolare l’energia è ormai irrinunciabile per lo sviluppo economico e sociale e soprattutto per il futuro di un pianeta sempre più interconnesso.

Il rischio del distacco del gas e del petrolio russi – minaccia ossessiva, almeno a parole, da parte di Putin – sta obbligando improvvisamente molti Paesi europei, Italia compresa, a rivedere la condizione energetica, spingendoci (finalmente) ad accrescere gli investimenti verso le fonti rinnovabili e, non senza polemiche, a riconsiderare l’opzione del nucleare. La parola d’ordine è, insomma, diversificare. Soltanto assicurandoci fonti stabili per l’avvenire sarà possibile continuare a mantenere un tenore di vita alto, garantendo prosecuzione sia alla produzione industriale sia a quelle “comodità domestiche” che il premier Draghi ha sintetizzato con l’immagine dell’aria condizionata.

Del resto, benché se ne parli poco, i motivi della guerra più che identitari sono economici: il Donbass è soprattutto l’area ucraina più ricca di fonti energetiche, con gli immensi giacimenti di gas ancora poco sfruttati. La maggior parte dei conflitti, è noto, hanno origine negli interessi economici più che nei semplici confini geografici. E il rapporto tra l’attuale scenario bellico in Europa e il settore energetico è lampante.

Diversi contatori registrano gli immensi incassi che la Russia riceve dalla vendita quotidiana di petrolio, gas e carbone. Ce ne siamo finalmente accorti tutti. Dall’inizio del conflitto, 24 febbraio 2022, siamo già a quota 50 miliardi. In sostanza la guerra è alimentata paradossalmente proprio dai nostri soldi. Le sanzioni, benché senza precedenti, sono insufficienti per annullare questa montagna di denaro. Da qui la proposta, senza dubbio sensata, di rinunciare all’energia russa per indebolire Putin; ma, si fa osservare giustamente, farlo subito equivarrebbe ad un suicidio, con la chiusura di una buona fetta dell’apparato industriale. 

È noto che l’Unione europea dipende dal Cremlino per il 35 per cento del petrolio, per il 40 per cento del gas e per una percentuale simile per il carbone. Il piano della Commissione europea è ridurre tali quote di due terzi entro fine anno, per azzerarle entro il 2027. Ma verso questa prospettiva ci sono almeno cinque lunghissimi anni.

Se l’orientamento futuro sarà verso le rinnovabili, il nodo resta il fattore tempo. Tanto che, per paradosso, se in un futuro purtroppo non prossimo la quota delle energie alternative sarà dominante, con benefici per l’ambiente, per l’immediato futuro sarà proprio il nostro habitat naturale a pagare le conseguenze di scelte dettate dall’emergenza, come il prolungamento di vita delle centrali a carbone o la riapertura delle miniere.

Sburocratizzare le autorizzazioni per i parchi eolici o per i pannelli solari è allora il diktat per ridurre i tempi del passaggio alle rinnovabili. Per il gas liquefatto americano, non proprio a buon mercato, servono i rigassificatori. Mentre per il nucleare, i tempi di costruzione di una centrale rischiano di catapultarci tra oltre un decennio in un’era dalle condizioni decisamente differenti. E poi i disastri di Chernobyl e Fukushima hanno lasciato pregiudiziali nella maggior parte della popolazione.

L’altra faccia della medaglia è il risparmio energetico. Abbassare di un grado i termostati nelle case equivale all’abbattimento del 7 per cento del consumo europeo di gas. Non poco. C’è poi l’efficientamento energetico degli edifici: il Superbonus al 110 per cento va proprio in questa direzione, ma concorre poco: secondo stime, con 300 miliardi di euro si riesce a rinnovare soltanto il 2 per cento degli immobili.

La strada, allora, è quella della (forzata) sostenibilità: energia pulita e riduzione dei consumi. Un altro mondo è possibile. Chissà se alla prossima Cop27 di novembre, in Egitto, i vertici della Terra faranno finalmente qualcosa di buono verso questa obbligata prospettiva.

Domenico Mamone