“Agenda 2030” dell’Onu: che ruolo svolge l’Italia?

Leonardo Mamone
25/04/2023
Tempo di lettura: 4 minuti
Ambiente

Dal 25 settembre 2015, 193 Paesi membri delle Nazioni Unite sono impegnati nell’attuazione di un’Agenda contenente 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs). L’Agenda include 169 traguardi riguardanti il sociale e l’ambiente, da raggiungere entro il 2030.

L’Unione europea è leader nel mondo per impegno nello sviluppo sostenibile. La maggior parte degli Stati europei ottiene ottimi punteggi al riguardo. A luglio 2019, la Commissione europea, durante il discorso di apertura della seduta plenaria del Parlamento presieduta da Ursula von der Leyen, ha presentato un vasto programma da realizzare per i cinque anni a seguire, in cui emerge chiaramente la volontà dell’Unione di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Per la valutazione dell’operato riguardo al raggiungimento degli obiettivi prefissati è stato creato un apposito sistema valutativo: il SDG Index score (indice di punteggio per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile). Dal 2015 si è passati da un punteggio di poco più di 68 nell’Unione europea, a quasi 72 nel 2019; si prevedeva un incremento oltre 72, ma, per via della pandemia, nel 2021 l’Unione ha raggiunto un pieno 72. Secondo il “Sustainable development report” del 2022, il punteggio più alto lo detiene la Finlandia (81.7), seguita da Svezia, Danimarca, Austria, Norvegia, Germania, Repubblica Ceca, Slovenia e Svizzera. L’Italia risulta al 19º posto con un punteggio di 70.6.

Ci si domanda perché i Paesi nordici sono più avanti rispetto al resto dell’Europa sul fronte della sostenibilità, nonostante il clima rigido e i lunghi periodi di solo buio e sola luce. La risposta? In questi Paesi ci si basa sulla trasparenza e sull’efficienza. Infatti gli uffici pubblici e i politici sono costantemente monitorati. In Svezia, ad esempio, si ha libero accesso, da parte di ogni utente connesso a internet, ai dati di uffici pubblici. In questa nazione si applica il cosiddetto “modello svedese”, un sistema socio-economico affermatosi progressivamente in Svezia e negli altri Paesi (Norvegia, Finlandia, Danimarca, Islanda) a partire dagli anni Trenta, generato dalle politiche di governo dei partiti socialdemocratici e laburisti.

Tale modello, noto e apprezzato da decenni in tutta Europa, unisce aspetti socialisti di tutela per le fasce più deboli della popolazione (welfare) con un rilevante peso dell’apparato pubblico (grande numero di impiegati e imprese statali), insieme ad aspetti liberisti. I Paesi nordici sono altamente democratici, hanno tutti una forma di governo unicamerale e utilizzano sistemi elettorali proporzionali. Questi Paesi puntano al sostegno delle classi meno abbienti garantendo un elevato livello di protezione sociale, definito spesso “dalla culla alla tomba”, ciò grazie a fondi del governo stanziati apposta, insieme alla promozione dell’uguaglianza di genere e di status e appositi programmi per i meno fortunati (housing first). I Paesi nordici hanno quindi il più elevato punteggio nel “Leave no-one behind index” (indice che monitora le uguaglianze in povertà, servizi, genere e guadagno).

Per quanto riguarda l’Italia, tra i punti dell’Agenda, non ne risulta raggiunto neanche uno, a differenza di altri Paesi. Le maggiori criticità risultano nella lotta alla fame, nell’azione climatica e nell’aiuto alla vita sulla terra e in acqua.

Tra i punti quasi raggiunti vi è “salute e benessere” (alta aspettativa di vita, accesso alle cure pubbliche; da migliorare l’utilizzo di internet nelle prenotazioni, rendendole immediate e accessibili), “città sostenibili” che risulta l’unico punto in cui deteniamo un andamento “vincente” per raggiungere l’obiettivo, non trovandoci in situazione stagnante o lievemente migliorativa (molte aree verdi urbane, alto livello di rifiuti riciclati; rimangono alti i livelli d’inquinamento e prezzi delle case) ed “energia pulita e accessibile” (con buona parte della popolazione che può mantenere calda la casa e progressiva riduzione delle emissioni di CO2; da migliorare le risorse energetiche non rinnovabili).

In conclusione la maggior parte del lavoro per raggiungere i vari obiettivi deve venire dal governo. Ciò non esclude il lavoro del singolo cittadino, in attesa che le leggi vengano adoperate anche per promuovere risoluzioni dedite al raggiungimento dei vari traguardi entro il 2030. Nel nostro piccolo potremmo fare donazioni ad enti benefici che lavorano nei Paesi meno sviluppati, sostenere prodotti di agricoltura e allevamenti sostenibili e biologici, avere e consigliare stili di vita salutari, diminuendo il rischio di problemi di salute in età avanzata e molte altre azioni mirando a diventare cittadini più responsabili e consapevoli del futuro che dobbiamo realizzare e costruire.

FONTI

https://s3.amazonaws.com/sustainabledevelopment.report/2022/europe-sustainable-development-report-2022.pdf

https://www.agenziacoesione.gov.it/comunicazione/agenda-2030-per-lo-sviluppo-sostenibile/

http://www.lteconomy.it/it/news-it/notizie-della-settimana/il-segreto-dei-paesi-nordici-perche-le-loro-performance-sono-cosi-buone

https://asvis.it/public/asvis2/files/Programmi_eventi/170Actions-_3rd_version_.FV__IT_.pdf

https://it.wikipedia.org/wiki/Housing_First

Leonardo Mamone