Lavoro, il tema del logoramento e il problema dell’abbandono

Maria Di Saverio
20/04/2022
Tempo di lettura: 10 minuti

Nel 2021 la McKinsey, società internazionale di consulenza manageriale, ha promosso una ricerca analizzando la natura e le caratteristiche del logoramento sul posto di lavoro. La ricerca intitolata “Great attrition or Great attraction”, ha come scopo quello di analizzare i motivi dell’abbandono da parte di molti dipendenti del proprio posto di lavoro.

Nell’ultimo anno, infatti, si è assistito ad un rapido aumento di dimissioni da parte di moltissimi lavoratori. Al fine di comprendere tale fenomeno, sono stati intervistati, in maniera separata, i datori di lavoro e i dipendenti, di diversi settori e di diverse nazioni (Australia, Canada, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti). L’indagine sui dipendenti ha coinvolto 5.774 persone in età lavorativa, mentre quella sui datori di lavoro, 250 manager specializzati in talenti (ad esempio, chief talent officer). Questi manager sono stati equamente suddivisi tra le grandi organizzazioni (con oltre un miliardo di dollari di fatturato) e quelle di medie dimensioni (con ricavi da $ 50 milioni a $ 1 miliardo).

La ricerca ha evidenziato come circa 15 milioni di lavoratori statunitensi hanno lasciato il lavoro dall’aprile 2021. Un numero consistente che ha iniziato a far preoccupare le aziende, che non comprendono concretamente i motivi per i quali i loro dipendenti se ne vadano, e non sanno come arginare tale fenomeno.

Al momento le aziende stanno adottando soluzioni rapide, ma poco produttive (ad esempio: aumento degli stipendi, vantaggi finanziari, bonus, etc.) in quanto non strettamente legate alle cause del problema.

L’IMPORTANZA

DEI LEGAMI

La ricerca ha messo in luce come sia necessario lavorare sul rafforzamento dei legami relazionali che le persone hanno con i loro colleghi e con i loro datori di lavoro. Il mancato rafforzamento di tali legami relazionali determina nel dipendente, infatti, un mancato apprezzamento e un inefficace soddisfacimento dei loro bisogni reali.

Se gli ultimi 24 mesi hanno insegnato qualcosa, è che i dipendenti bramano investimenti in aspetti umani del lavoro, nuovi scopi e hanno necessità di avere maggiori connessioni sociali e interpersonali con i loro colleghi e manager. Vogliono cioè provare un senso di identità condivisa.

Seppure interessati ad aumenti retributivi, benefici e vantaggi, questi non riescono però a colmare il loro bisogno di sentirsi apprezzati dalle loro organizzazioni e dai loro manager. Vogliono interazioni significative, anche se non necessariamente di persona e non solo transazioni.

Non comprendendo da cosa stanno scappando i loro dipendenti e verso cosa potrebbero gravitare, i leader aziendali stanno mettendo a rischio le loro stesse attività. Inoltre, molti datori di lavoro stanno gestendo la situazione in modo simile, non riuscendo ad investire in un’esperienza lavorativa più appagante e non riuscendo a soddisfare le nuove esigenze di autonomia e flessibilità sul lavoro. Per questo alcuni dipendenti scelgono deliberatamente di ritirarsi completamente dalle forme tradizionali di lavoro a tempo pieno.

L’analisi della ricerca McKinsley, oltre ad evidenziare le cause dell’abbandono del posto di lavoro da parte dei lavoratori, fornisce alle aziende uno strumento utile per gestire il fenomeno e facendo diventare quindi il “great attriction” un “great attraction”, ossia una grande occasione di attrarre e trattenere i propri dipendenti.

Il volume evidenzia quali siano le azioni significative da intraprendere, fa parte delle aziende, per ottenere un vantaggio nella corsa per attrarre, sviluppare e trattenere i talenti di cui hanno bisogno e per creare una fiorente organizzazione post-pandemica.

Tutto ciò non è ovviamente semplice e facile. Primo perché richiede alleaziende e ai loro leader di comprendere veramente i loro dipendenti; secondo perché richiede ai leader di sviluppare un’empatia molto più profonda per ciò che i dipendenti stanno attraversando e di associare tale empatia alla compassione e alla determinazione per agire e cambiare. Solo allora i datori di lavoro potranno riesaminare adeguatamente i desideri e le esigenze dei propri dipendenti e iniziare a fornire la flessibilità, la connettività e il senso di unità e scopo che le persone bramano.

È così che molti dirigenti senior sono chiamati a reinventare il modo in cui guidano le proprie aziende. Le abilità che hanno reso i leader efficaci prima della pandemia di Covid-19 – coaching forte, mentoring, creazione di team forti – sono solo la posta in gioco per la sfida dei mesi e degli anni a venire.

L’ESODO

DALLA SANITÀ

Quei dirigenti che pensano che l’attrito dei dipendenti si stia attenuando, o che sia limitato a particolari settori, rischieranno di perdere molti talenti. Infatti, il 40 per cento dei dipendenti del sondaggio ha affermato che è almeno in qualche modo probabile che smetterà di lavorare nei prossimi tre-sei mesi. Il 18 per cento degli intervistati ha rivelato che le proprie intenzioni variano da probabili a quasi certe. Questi risultati si sono verificati in tutti e cinque i Paesi esaminati (Australia, Canada, Singapore, Regno Unito e Stati Uniti) e sono stati ampiamente coerenti tra i settori.

Le aziende nel settore del tempo libero e dell’ospitalità sono le più a rischio di perdere dipendenti, ma anche molti operatori sanitari e impiegati affermano di voler smettere di lavorare. Lo stesso dicasi degli educatori – i dipendenti meno propensi a dire che potrebbero smettere – quasi un terzo ha riferito di avere almeno una certa probabilità di farlo.

Queste tendenze inoltre tendono a persistere. Infatti, il53 per cento dei datori di lavoro ha affermato di avere un turnover volontario maggiore rispetto agli anni precedenti e il 64 per cento si aspetta che il problema continui, o peggiori, nei prossimi sei mesi.

Questa tendenza non solo è destinata a continuare, ma potrebbe peggiorare notevolmente. E non deve trarre in inganno il fatto che il 60 per cento dei dipendenti del sondaggio ha affermato che non era affatto probabile che si dimettesse nei prossimi tre-sei mesi, perché non vi è la sicurezza che nel breve periodo possa esserci, in questi dipendenti un forte logoramento, soprattutto perché vi sono sempre più datori di lavoro che offrono scelte di lavoro a distanza per talenti difficili da reperire, ciò potrebbe quindi indurre questo 60 per cento del campione a cambiare le loro intenzioni.

Analizzando le risposte fornite dai dipendenti si nota, infatti, che molti di questi non sono affatto propensi a smettere in quanto gli piace il luogo in cui vivono; nello stesso tempo, però, tra i nuovi assunti quasi il 90 per cento non si è dovuto trasferire grazie allo smart working.

Avere, quindi, più opzioni tra cui scegliere potrebbe indurre i dipendenti, più soddisfatti, a ripensare al loro impegno nei confronti delle aziende in cui ora lavorano, in particolare se i dirigenti gestiscono male la transizione ad un ambiente di lavoro ibrido o ostinatamente non riescono a offrirne uno a tutti.

Per arginare questo fenomeno, i dirigenti devono comprendere velocemente i motivi per i quali i propri dipendenti lasciano il lavoro. Molti si stanno impegnando concretamente. Infatti, quando è stato chiesto ai datori di lavoro perché i loro dipendenti si erano licenziati, hanno citato la compensazione, l’equilibrio tra lavoro e vita privata e la scarsa salute fisica ed emotiva. Questi problemi erano importanti per i dipendenti, ma non tanto quanto pensavano i datori di lavoro.

Tra i primi tre fattori citati dai dipendenti come motivi per smettere vi era il non sentirsi apprezzati dalle loro organizzazioni (54 per cento) o dai loro manager (52 per cento) e il non sentire un senso di appartenenza al lavoro (51 per cento).

IL RUOLO

DEL COVID

La pandemia ha irrevocabilmente cambiato ciò che le persone si aspettano dal lavoro. Il panorama continuerà a cambiare man mano che le aziende sperimenteranno nuovi approcci di lavoro ibrido. In questo momento, infatti, una politica di ritorno pesante in ufficio o impartito dall’alto potrebbe ritorcersi contro ai datori di lavoro. È quindi fondamentale, in questa fase, includere nelle decisioni anche i dipendenti, chiedendo loro di partecipare alla creazione di soluzioni.

Alcune indicazioni, su come analizzare la propria struttura organizzativa e riuscire a capire le esigenze dei propri lavoratori, vengono fornite dalla ricerca stessa.

Questi alcuni consigli presenti nella ricerca.

Viene consigliato, ai datori di lavoro, di circondarsi di dirigenti che valorizzino i dipendenti, motivandoli e ispirandoli, ma soprattutto di inserire le persone giuste nei posti giusti (soprattutto manager). Molti datori di lavoro, infatti, nel sondaggio hanno riferito di avere le persone giuste, ma non necessariamente nei posti giusti. Quando si tratta di manager, questo problema può essere particolarmente dannoso, soprattutto in ambienti ibridi, dove sono richieste nuove capacità di leadership. La formazione e lo sviluppo delle capacità saranno, quindi, cruciali per manager e dirigenti che non provenissero da ambienti ibridi o virtuali, in altre parole, per tutti, dal C-suite alla prima linea.

Altre indicazioni fornite nella ricerca riguardano la capacità di far sentire apprezzati i propri dipendenti. Infatti, se pur molte aziende hanno aumentato i propri benefit ai dipendenti (ad esempio: parcheggio gratuito, intrattenimento, etc.) questi, seppure importanti e apprezzati, potrebbero non essere una priorità per i dipendenti in questo momento. Infatti, tra gli intervistati che avevano lasciato il lavoro, il 45 per cento ha citato la necessità di prendersi cura della famiglia come un fattore influente nella loro decisione, e una percentuale simile di persone che stanno pensando di smettere, ha citato le esigenze dell’assistenza familiare come fattore predominante. L’espansione dell’assistenza all’infanzia, dei servizi infermieristici o di altri vantaggi incentrati sulla casa e sulla famiglia potrebbe aiutare a impedire a tali dipendenti di andarsene. Tali accorgimenti, infatti, fanno sentire i dipendenti apprezzati.

I dipendenti vogliono, inoltre, percorsi di carriera e opportunità di sviluppo e l’azienda deve essere in grado di fornirli. Molti dipendenti sono alla ricerca di lavori con traiettorie di carriera migliori e più solide. Desiderano sia il riconoscimento delle proprie competenze sia lo sviluppo di carriera.

Le aziende più attente riescono a trovare il modo di premiare le persone promuovendole non solo in nuovi ruoli, ma anche in livelli aggiuntivi rispetto a quelli esistenti. Si pensi, ad esempio, alla Waffle House che ha creato tre livelli per le posizioni della griglia, mentre nelle altre aziende è solo un ruolo. Alla Waffle esistono quindi i cuochi di livello base, ossia i “grill operators “, i cuochi più esperti, i “master grill operators ” e i migliori cuochi sono conosciuti come “rock star grill operators” o più colloquialmente come “Elvis sulla griglia“.

Le aziende dovranno, inoltre, creare un senso di comunità. Infatti, il lavoro a distanza non è una panacea, ma nemmeno un ritorno completo in loco può essere la soluzione. Il problema maggiore resta la relazione e connessione tra le persone.

Questa richiederà, però, una notevole attenzione da parte della direzione per ottenere risultati corretti soprattutto perché le esigenze e le aspettative dei dipendenti sono cambiate (si pensi, ad esempio, ai dipendenti con bambini piccoli non vaccinati che possono sentirsi insicuri in occasione di grandi riunioni di persona).

ORIGINALI

BENEFIT

Diverse organizzazioni hanno adottato un approccio inclusivo inviando pacchetti di “soggiorno” a tema: una serata al cinema con popcorn e una carta regalo; una serata di gioco per famiglie, patatine e salsa; una “giornata virtuale alle terme” completa di maschere per il viso, tè e cioccolato.

Alcune aziende, inoltre, hanno integrato questi benefit creando un canale Slack per pubblicare foto e storie, incoraggiando i dipendenti a condividere queste esperienze.

Un’altra organizzazione ha incoraggiato la connettività tra i dipendenti offrendo buoni regalo caffè a coloro che si sono iscritti per partecipare a “chat caffè one-to-one” con dipendenti che non conoscevano, un vantaggio che ha migliorato la connettività e ha aiutato le persone a espandere le proprie reti.

In conclusione possiamo affermare che questo periodo può rappresentare per le aziende una grande opportunità per migliorare la propria organizzazione aziendale.

Per cogliere queste opportunità sarà però fondamentale fare un passo indietro, ascoltare, apprendere e apportare i cambiamenti desiderati dai dipendenti, iniziando con un focus sugli aspetti relazionali del lavoro perso durante la pandemia.

Maria Di Saverio